sabato 22 dicembre 2012

Natale

Un Dio talmente innamorato delle sue creature da farsi la più fragile tra esse. Ecco il più
Grande Amore possibile.

mercoledì 19 dicembre 2012

Pioggia

Pioggia cade,
feroce bussa su questa casa
dove riposi immobile
senza esserci.
Altrove da qui,
sfuggi,
nel mistero.
Almeno credo.
Il tuo non esserci e' reale,
e la pioggia si ostina sulla tua casa di marmo,
dove riposa l'immagine
che non ha più sguardo,
ne' tenerezza,
ne' vita.
Lontana e' l'eco del movimento,
il sorriso che dipingeva la bocca,
la parola che confortava.
Ed e' mistero inaccessibile,
credo.
Anche se non c'è tenerezza,
ne' vita visibile,
sotto la pioggia.


giovedì 15 novembre 2012

La prova di Cirene.


La prova di Cirene. (fam)


Mi è capitato recentemente di sentire una persona che conosco, fare la seguente affermazione:
"Gesù è sicuramente un ideale, ma non si possono non avere dubbi sulla sua reale esistenza, sul suo essere stato (anche) una persona fisica”.
Tesi peraltro abbastanza diffusa che porterebbe  a relegare nel campo della immaterialità qualcuno che, invece, ha vissuto un’esistenza umana, ha calpestato la terra, ha mangiato i frutti della terra, si è beato del sole le, si è riparato dalla pioggia.
Ho risposto a questo amico che sbagliava.
E credo di averlo convinto. Come? Non è stato difficile.


I Vangeli non sono opere di fantasia.
Sono stati scritti in un’ epoca nella quale erano ancora in vita persone che, solo volendo, avrebbero potuto smentirli. E con la forza persuasiva dell’evidenza!
Non abbiamo prova di alcuno scritto che metta in dubbio che un uomo di nome Yeoshua Ben Joseph non sia stato effettivamente mandato a morte dal Governatore  romano di Giudea, Ponzio Pilato.
Anche se volessimo prescindere dal racconto (scarno, invero) che ce ne fa Giuseppe Flavio nelle sue “Antichità Giudaiche” ci troveremmo a dover fare i conti con le tracce che la storia non disperde mai. Tracce che ,una volta venute ala luce, testimoniano in maniera incontrovertibile ciò che è accaduto.
Discorrendo col mio amico dubbioso, l’ho invitato a riflettere su una tomba. Sì, proprio una tomba.
Quella trovata nel 1941, nella valle del Cedron a Gerusalemme, dal Prof. Eleazer Sukenik dell’Università Ebraica di  Gerusalemme.
All’interno della tomba vi erano 13 urne funerarie ed una lampada ad olio. La datazione fatta col carbonio 14 ha rivelato senza alcuna ombra di dubbio che trattasi di urne funerarie del I° secolo dopo Cristo; quindi il periodo nel quale Gesù visse la gran parte dei suoi 36 anni (potendo datare la sua morte nell’anno 30 d.C).
Ciò che ci interessa maggiormente sono alcune delle iscrizioni funerarie.
“Alessandro figlio di Simone” ed  “Alessandro di Cirene”.
Come detto, questi sono fatti certi. Non possiamo minimamente metterli in dubbio. C’è la tomba, ci sono le urne, ci sono le scritte e la datazione.

Procediamo:
nel Vangelo di Marco (15,21)  leggiamo:

costrinsero, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce….“.

Al contrario di Simone, il nome Alessandro non era molto diffuso in Giudea nel I° secolo d.C. Se ne contano pochissimi in tutta la regione (per l’esattezza solo 31  volte emerge in tutto il materiale scritto ritrovato).
Quante possibilità che questo Alessandro figlio di Simone il Cireneo sia una persona diversa da quella citata da Marco? Scarse davvero, forse infinitesimali.
Ora esaminiamo la circostanza da un punto di vista sinottico:
Il vangelo di Marco può essere ormai tranquillamente datato attorno all’anno 58/60 d.C. quindi entro un range di tempo inferiore sicuramente ai 35 anni dalla morte di Yeoshua ben Joseph.
Scrivere qualcosa nell’attualità, ce lo insegna l’esperienza, significa esporsi alla smentita.
Se voglio diffondere una bufala mi guarderò bene da circostanziare la bugia che dico. Il rischio di essere smentito cresce quanto crescono i particolari, i dettagli.
Immaginiamo allora che interesse avrebbe avuto l’evangelista Marco ad inserire un particolare che sarebbe stato agevolmente smentito da Alessandro stesso e, se non da lui, dai suoi stessi parenti?
Una bugia conclamata avrebbe inficiato la credibilità di tutto il racconto. Tutto il vangelo sarebbe stato “bollato” come opera falsa.
Tutto ciò non accadde.
Abbiamo pertanto la prova che in quell’aprile dell’anno 30, Yehoshua ben Joseph fu aiutato a portare la croce (o il solo patibulum, la trave orizzontale da fissare poi al palo) dal padre di Alessandro (e di Rufo, altro figlio di Simone di Cirene), Simone di Cirene appunto.
E’ la prova dell’esecuzione di una condanna a morte. La condanna a morte di un uomo, Yeoshua ben Joseph.
Che sia poi risorto perché figlio di Dio, appartiene alla sfera del dogma, della Fede.
E la Fede prescinde da ogni possibile traccia che non sia nel cuore di ognuno di noi. Com’è giusto che sia.



 Francesco Antonio Maisano
 Bologna

Trattatello di gatti e giudici....


Trattatello di gatti e giudici…. (fam)


Un avvocato non finisce mai di imparare! Ecco perché siamo (dobbiamo essere…) legati ai nostri Maestri. Ci insegnano sempre, anche quando iniziamo a volare con le nostre ali.
Man mano che andiamo avanti nella bellissima avventura che è la “conquista della convinzione altrui” scopriamo quanto sia vero l’assioma: “il processo è il giudice”.
La Giustizia umana è “fatta” da esseri umani, con le loro debolezze, i tic, le paturnie, i modi di porsi e di recepire.
La “conquista del consenso” non può non partire dalla conoscenza di chi si vuole conquistare.
Creare da subito “antipatia” non è certo una brillante strategia nella lotta mirabile verso l’assertività.
Come nel mondo animale, l’imprinting giudiziario andrebbe studiato. Forse nel solitario meditare molti di noi lo hanno fatto e lo fanno. Alcuni credono che sia un’arte. Ed io tra loro.
Per questo mi ispirerò all’amico gatto. Sì, quell’esserino peloso che conosciamo sempre assai poco! Molto meno di quanto dovremmo. Conoscendo il gatto possiamo conoscere il lato nascosto dell’essere umano. Il gatto è la nostra zona d’ombra. Conquistala e avrai le chiavi dell’intimità altrui.
Il Giudice va trattato come un gatto!
Sono arrivato a questa conclusione dopo averne visti tanti e di varie tipologie. Nella diversità di pelo e lignaggio tutti, però, avevano in comune un aspetto: la diffidenza verso l’avvocato.
Il Giudice diffida di te esattamente come il gatto diffida della tua prima carezza.
Se sbagli verso, intensità, momento, sei spacciato. Hai perso non solo il consenso ma lo stesso rapporto. Una  rottura insanabile e definitiva. Dolorosissima.
Ecco perché abbiamo poco tempo per iniziare un approccio che, se felice, potrà aiutarci nel prosieguo del cammino, se sbagliato ci perderà definitivamente. Con risultati amari.
Il gatto va accarezzato per il suo verso. Regola aurea. Fatto notorio.
La carezza non può partire sgradita o sorprendente! Se il gatto è sorpreso scappa, quando non graffia!
Così il giudice. L’ imprinting pertanto non sarà mai fisico. Non inizialmente. Sarà invece simbiotico. Assertivo. Emozionale, ma a distanza.
Si comincia col valutare il “bersaglio” e si cerca, per quanto possibile, di non creare discrasie. L’ osservazione iniziale è tutto. Il passo successivo sarà la riproposizione  speculare del “quid” altrui. Quale possa essere il “quid” è poi l’arte stessa dell’approccio. Ovviamente non ve la svelerò. Sarebbe inutile perché legata a mille variabili che solo un’acutezza allenata potrà cogliere.
Conquistato il primo stadio dell’ imprinting si procederà con assoluta levità verso il secondo: la riproposizione. Fare proprio quel “quid” cercando di non sublimarlo. Anzi, possibilmente restando nel sottotraccia. Understatement, direbbe un navigato barrister. Proporlo all’autore originario con la soavità che non lasci pensare allo scimmiottamento. Se ci si riesce siete a metà dell’opera.
Una volta conquistata l’empatia proseguiremo verso il raggiungimento della meta intermedia : la prima carezza.
La prima carezza è come il primo bacio, sbagli momento, modalità, caratura e l’amore è finito senza nemmeno sbocciare. Non potrà mai essere nemmeno ricordo tanto sarà grande il peso del fallimento. Frustrante come una porta sbattuta in faccia, come uno sguardo nemmeno ricambiato. Il gelo di un inverno perenne senza speranza di primavera.
La prima carezza non la farete mai voi, non nell’intenzione, almeno! Vi sarà richiesta. Voi la farete esattamente quando sarà attesa. Il tempismo e l’intensità sono coniugati indissolubilmente. Il giusto momento, la giusta carezza. Il primo dovrete saperlo cogliere, la seconda dovrete saperla fare.
La prima carezza…ah quanto impegnativo quel tocco atteso per essere giudicato, analizzato spietatamente e solo dopo, forse, finalmente gradito!
Mai contropelo, ovvio, e lo sappiamo già!
Mai intrusivo che dia l’idea del possesso vantato.
Mai sfuggente che denoti ritualità.
La carezza deve comunicare lealtà, verità, condivisione .
Anzi, ancor di più: Purezza d’intenti!
Il successo della prima carezza abbasserà la guardia iniziale di chi ora state accarezzando. E’ fatta! 
Siete entrati oltre le originarie difese, i cavalli di frisia sono vinti, non c’è altro che da proseguire nell’alternarsi tra invito e dono. Il resto della storia, tocca a voi scriverla…



giovedì 8 novembre 2012

Dedicato a mio Padre.

Il Prefetto di Bologna, S.E. dott. Tranfaglia, mi ha consegnato il 7 novembre 2012 le Insegne di Cavaliere della Repubblica. E' un onore e un Privilegio che voglio dedicare per intero ad un Cavaliere Vero. Un Uomo che ha servito il Suo Paese durante la IIa Guerra Mondiale e,dopo la Pace, la Sua Famiglia. Un Uomo che mi ha insegnato le Cose Giuste che conosco, un Uomo a volte così difficile da imitare perchè aveva innata in sè un'attitudine profonda alla Giustizia ed all' Umanità più autentica e preziosa. A Carmelo Maisano,a mio Padre!













Mio Padre ed il piccolo cavaliere...


martedì 23 ottobre 2012

Prevedere i terremoti. Per Sentenza!


E dunque da oggi sarà possibile prevedere i terremoti e ciò accadrà in forza di una sentenza pronunciata nel nome del Popolo Italiano. Dove la scienza non è arrivata, arriva inesorabile il pronunciamento di un Tribunale. Non prevedi l’arrivo di un terremoto? Accomodati in galera. Per sei anni!
Faccio parte di coloro che non si stupiscono più di tanto. Leggendo gli atti  di un processo per stregoneria, mi accorsi un tempo di come possa essere emblematico lo studio degli umani avvenimenti. Un piccolo neo proprio sull’angolo del labbro anteriore di una giovinetta in realtà è il segno del diavolo. E dove arriva il diavolo inevitabilmente soccorre il rogo.
Sono passati gli anni ma un certo modo di affrontare gli accadimenti umani  -e non…-  nelle aule di giustizia è rimasto sostanzialmente inalterato.
Chissà perché ma in queste ore tornano dolorosamente alla memoria le immagini di Galileo Galilei costretto a inginocchiarsi davanti all’ufficialità dogmatica e recitare il mea culpa cospargendosi il capo di ideale cenere catartica.
Immagino il profondo senso di solitudine che lo ha afflitto, umiliato, reso nudo davanti alle eleganti vestigia del potere costituito.
E’ la storia degli uomini, d’altronde, siamo sempre sottoposti al giudizio di chi per costituzione decide ciò che è giusto o sbagliato. Non c’è nulla di scandaloso o eversivo in questo.
Ciò che spaventa, però, e il superamento dello stato dell’arte da parte del senz’arte.
Il giurista che diventa precursore della scienza fa paura.
La scienza in qualche modo è tranquillizzante.
L'esigenza della sperimentazione, l'esito acclarato della sperimentazione, costituiscono comunque una garanzia contro l’improvvisazione, la cialtronaggine, l’ avventurismo.
La scienza è in qualche modo un punto fermo sia pure nell’ambito necessariamente evolutivo della conquista del sapere.
La scienza non è dogmatica, non è autorità ma solo autorevole, se del caso. Ammette sempre la prova del contrario. La prova, però! Non il dogma fideistico basato sull’improvvisazione del momento.
Ed è ciò, invece, che accade in queste ore. Il dogma ha preso il posto della scienza. E non lo ha fatto con nuovi calcoli sulla lavagna, no! Ma per sentenza. Nel nome del popolo Italiano.

martedì 10 luglio 2012

In memoria di Giovanni Romeo, Giudice!

Ci ha lasciati il Presidente Giovanni Romeo. Piango l'amico. Rimpiango il Magistrato che ha onorato la Toga. Schivo e lontano dai riflettori ha servito il Paese con la sua proverbiale saggezza, il rispetto della Legge e delle regole del Processo Penale. Senza Giovanni Romeo siamo tutti un po' più poveri. La speranza e' che il suo esempio di Alto e Insigne Magistrato venga raccolto dai  giovani  giudici e pubblici ministeri che, come lui, si facciano servi solo della Legge. Amanti solo della Giustizia. Ti saluto,Giovanni. La Luce del Signore ti illumini il cammino!

sabato 23 giugno 2012

Il mio amico Padre Gabriele Digani.

Tutti noi bolognesi di nascita o d'adozione conosciamo ( o dovremmo conoscere!) Padre Gabriele. E' l'erede spirituale a materiale del grande Padre Marella, angelo dei poveri e dei diseredati. Gabriele lo potete salutare il sabato mentre raccoglie le offerte, seduto su una sedia all' angolo davanti a Tamburini, in via degli Orefici. Stamattina mi sono fermato dal mio amico Gabriele. Sotto la canicola stava seduto,come sempre, col solo sorriso. Un sorriso che si e' aperto quando mi ha detto che la chemioterapia gli sta provocando "solo" qualche malessere. Non sufficiente, ho pensato io, per togliergli il sorriso e la sua sedia del sabato. Passate a trovare questo Angelo che il Signore ci sta regalando! Parlateci, fermatevi per il tempo di un sorriso. E tornando a casa,egoisticamente, chiedete al Signore di lasciarcelo ancora. I tanti poveri e diseredati di Bologna hanno bisogno di lui. Qui. In terra.

giovedì 31 maggio 2012

Di Brindisi e della Colonna Infame.




Chissà quanti di noi,avvocati penalisti,hanno visto scoccare la freccia dell’innamoramento per la Toga con la lettura della manzoniana “Storia della Colonna Infame”? Io di sicuro.
Vi si narra di come una testimonianza falsa possa portare,accompagnata dall’uso della tortura, alla condanna dell’innocente; degli innocenti. In quella terribile storia erano appunto due: Guglielmo Piazza e Giangiacomo Mora. Anno “di grazia” 1630. Chi li condannò ritenne equo anche iscriverne il ricordo in una colonna di cemento. A memoria del loro “delitto”.
Da quel tempo tante altre condanne di infelici si sono susseguite, si susseguiranno, perché se la giustizia umana è un fatto di uomini, è evidente che essa non possa sottrarsi al condizionamento soggettivo che in essa vi apportiamo direttamente o indirettamente,tutti quanti.
Ma tralasciando il richiamo letterario veniamo al punto:
A Brindisi per i noti terribili di fatti di qualche settimana fa, gli inquirenti ritengono di dover approfondire la posizione di un elettrotecnico che, curiosamente come l’uomo che appare immortalato in un video girato da una telecamera di sorveglianza, ostenta una debilitazione fisica alla mano, tanto da tenerla costantemente in tasca.
Vive nei pressi del “locus commissi delicti” e ciò è sufficiente per iniziare a scandagliare la sua posizione.
Si dirà: per così poco? Può essere obiettivamente poco, può essere però un input da approfondire. Gli inquirenti questo devono fare.
E’ evidente,però, che la dimensione dell’indiziarietà del caso concreto mal si conciliava con le procedure seguite.
A seguito dell’accompagnamento in questura dell’uomo qualcuno,dal di dentro, ne faceva filtrare  nome e cognome. A quel punto per i tanti giornalisti era sicuramente un gioco da ragazzi pervenire ad una più compiuta identificazione. Ed in effetti ciò è avvenuto in un breve volger di minuti.
Il resto è storia che tutti conosciamo. Un giornalista, mediaticamente famoso, attraverso un social network (Twitter) scrive nome e cognome dell’uomo e addirittura si reca a fotografare la casa in cui abita e la rende pubblica attraverso un cinguettio” (tweet,appunto) .
Questo giornalista ha fatto informazione o ha creato le condizioni per la distruzione di una vita?
Alcuni potrebbero dire: il giornalista deve pubblicare quanto apprende! Il problema sta a monte: gli inquirenti non dovevano operare la “soffiata”.
Per evitare  che il ragionamento diventi il classico “gatto che si morde la coda” precisiamo:
Gli inquirenti non dovevano “soffiare” nulla. Non è nelle loro facoltà, la legge non solo non lo permette ma lo vieta. In quella fase del tutto preliminare ancora di più.
Il giornalista avrebbe dovuto sentore il dovere morale di non fare il nome dell’accompagnato (l’accompagnamento in caserma è situazione talmente generica che può essere compatibile anche con l’esigenza di ascoltare a caldo una persona “semplicemente” informata sui fatti, o che lo possa essere. E questo il giornalista non doveva ignorarlo. Va da se che mettersi addirittura a fotografare il portone di casa di  quella persona che in quei momenti staziona all’interno della Questura è un atto grave. Anzi, irresponsabile! Pare che l’innocente  di Brindisi abbia rischiato il linciaggio fisico. Di sicuro ha subito quello morale. Sono danni permanenti che segnano una vita. Danni non quantificabili. Danni che,purtroppo, anche stavolta nessuno risarcirà. Danni  come quella triste Colonna Infame che, compiaciuta, segnalava che “giustizia era stata fatta”. Quando era invece solo la prova, scritta sul cemento, dell’ennesimo errore giudiziario.

(Francesco Antonio Maisano,Bologna)

venerdì 25 maggio 2012

Il braccialetto elettronico della Severino




Tra i primi interventi della neo ministra molti di noi ricordano il vero e proprio atto di fede nel “braccialetto elettronico”. E di atto di fede assoluta bisogna parlare, visto che si tratta di uno degli utensili meno conosciuti in assoluto da addetti ai lavori e non.
Immagino che il ricorso della Ministra al congegno fosse volto a sottolineare un aspetto meno prosaico e più sostanziale: l’esigenza di decarcerizzare, per quanto possibile, in ossequio al principio costituzionale di cui al-
l’ art. 27 e, nell’immediato,  come rimedio al sovraffollamento inframurario ormai insostenibile.
Diciamo subito che se vi era una petizione di principio nell’intervento della Ministra questo era (ed è!) nobile, opportuno ed anzi assolutamente indifferibile.
Eppure la Ministra,con un semplice ricorso al database ministeriale, avrebbe potuto (e può!) constatare come a fronte del suo condivisibile zelo programmatico  esistano  soluzioni concrete a portata di mano. Prendiamo ad esempio i condannati a pena definitiva non superiore (anche quale  residuo) ai tre anni che si trovino in regime di arresti domiciliari per reati di c.d. “seconda fascia” (art. 4 bis O.P) al momento dell’esecuzione.
Il c.d. “passaggio obbligatorio in carcere” al fine di chiedere,in vinculis, al Tribunale di Sorveglianza la concessione di uno dei benefici alternativi al carcere costituisce ,al momento, una delle maggiori ricadute numeriche del reingresso in carcere.
Ragionando proprio sulla casistica dei c.d. reati  di “seconda fascia” sappiamo che i benefici penitenziari sono fruibili “purchè non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata,terroristica o eversiva”. Quindi nessuna prevenzione in negativo invincibile ed assoluta. Ma solo condizionata all’esito dell’accertamento.
Ebbene, non si comprende allora per quale motivo tale accertamento non possa effettuarsi, direttamente, durante il periodo di permanenza agli arresti domiciliari del ristretto  che in tale regime si trovi, in attesa della definitività.
Basterebbe utilizzare lo stesso periodo temporale per l’acquisizione di documentazione attestante la cessazione di ogni pericolo di attualità di collegamenti delinquenziali che sarebbero portati alla conoscenza del Magistrato di Sorveglianza (con garanzia del contraddittorio) nei trenta giorni di sospensione dell’emissione dell’ordine di esecuzione da parte del PM.
Una semplice operazione di addenda legislativa nel corpo del comma 9 lett.a dell’art. 656 C.p.p. renderebbe possibile evitare il “passaggio in carcere” per un soggetto ormai già avviato alla risocializzazione (si pensi al caso dei domiciliari “allargati” nei quali l’interessato svolge proficuamente e con diligenza un’ attività lavorativa) e che ha completamente interrotto, in modo incontrovertibile, ogni collegamento con la criminalità.  Con buona pace dell’art. 27 della Costituzione che vedrebbe così non oltraggiato il principio di rieducazione della pena.
Se la Signora Ministra ,abbandonando il terreno della  tecnologia, cercasse un rimedio all’interno del Codice forse si potrebbe fare un buon lavoro. Sicuramente un …lavoro di Civiltà Giuridica.


martedì 22 maggio 2012

Ricordo di Giovanni Falcone.

Ho conosciuto Giovanni Falcone. Ero un giovane procuratore legale e sostituivo il mio maestro in un interrogatorio. Ricordo la sua gentilezza nel farmi sentire a mio agio. Torturava una bella penna stilografica d'argento mentre aspettava le risposte alle sue domande. Poi verbalizzava a mano,personalmente, e alla fine rileggeva quanto scritto chiedendo: " E' così ,vero?" Il ricordo che ho e' di una grande professionalità; conosceva perfettamente i temi dell interrogatorio tanto che non si servi' mai del fascicolo. Lo conosceva a memoria. La grande personalità veniva fuori assieme ad una apprezzabile concretezza. Mi fece poi gli auguri per la mia carriera che era appena inziata. Dopo l'interrogatorio ,durato alcune ore ,un elicottero dell'arma lo riporto' via. E non ebbi più il piacere di incontrarlo ancora. (Francesco A. Maisano)

mercoledì 16 maggio 2012

Grazie Pisapia!!

Gaspare Tumminello, 54 anni, vive per strada a Milano. Ho letto la sua storia su un quotidiano. Aveva perso la casa ed il lavoro e da qualche mese un cancro lo ha colpito. Di mattina fa la chemio ma di sera dorme (dormiva!) in un'auto per strada.
Ho contattato il Sindaco Pisapia attraverso un social network e la sua risposta non si è fatta aspettare.
Lo ringrazio pubblicamente. Da oggi,Gaspare, non dorme più per strada e il Comune si è preso cura di questo nostro fratello sfortunato.
Ringraziamo Dio, e gli uomini!

venerdì 11 maggio 2012

Doveva morire!


Doveva Morire! (fam)


Uno dei terreni (o per meglio dire,territori..) sui quali lo scontro tra le diverse culture si è sempre scatenato è quello della responsabilità della condanna a morte di Gesù di Nazareth.
Chi ebbe la responsabilità di quella condanna?
Chi ne fu l’artefice?
A chi,insomma,ascrivere il “peso” di una sentenza finale che gran parte del mondo percepisce come ingiusta?
Evidentemente non esiste una risposta univoca, altrimenti non si spiegherebbe come mai gli stessi Evangelisti “sfumano” i loro bersagli diversificando il giudizio di responsabilità.
Matteo, giudeo che scriveva (in aramaico) per i giudei, non esita a responsabilizzare, in modo diretto e forte, non solo il Sinedrio ma tutto il popolo ebraico, reo di aver chiesto che il sangue del Cristo cadesse  addirittura sulle generazioni a venire;  Giovanni offre una “rilettura” di Pilato in chiave quasi assolutoria. E’ Giovanni che ci tramanda la famosa risposta che Gesù diede a Pilato negli ultimi momenti nei quali i due stettero faccia a faccia: “…chi mi ha consegnato nelle tue mani ha una colpa più grande”(Gv19,11).
E’ sicuramente materia da maneggiare con grande prudenza. Senza mai dimenticare che un’interpretazione distorta è stata presa a pretesto addirittura per la persecuzione di un intero popolo. Ma è un terreno sul quale le omissioni potrebbero essere esse stesse colpa.
Il sistema giudiziario giudaico nel 33/36 d.C. non prevedeva l’esecuzione della pena capitale. O,per meglio dire, il potere di infliggere la pena di morte era riservato alla sola autorità romana,quale forza occupante.
Conosciamo storicamente l’uso della lapidazione, ma a quei tempi era piuttosto una reazione immediata della gente in caso di flagranza di “delitti religiosi” quali la bestemmia e l’adulterio.
Gesù doveva essere in primis processato, attesa la mancata  flagranza, e l’eventuale condanna capitale non poteva che essere deliberata ed eseguita dall’autorità romana. Su questo nessun dubbio è consentito.
Premettiamo,allora, che la richiesta di condanna a morte giunse sicuramente dai presenti (la folla..) che fronteggiava Pilato nel pretorio.
E’ la folla che chiederà il rilascio di Barabba e griderà con forza “Cucifige!”.
Certo non tutta Gerusalemme ma coloro che accolsero il prevedibile invito di Caifa e degli altri notabili del Sinedrio (la claque,diremmo oggi). Diversamente non si capirebbe come tutta una città che, appena una settimana prima, aveva Osannato Gesù (“Osanna,Figlio di Davide!”)che percorreva le strade a dorso di Mulo gii si fosse rivoltata contro volendolo morto.
Fatta questa necessaria puntualizzazione occorrerà chiedersi se il Governatore romano, Ponzio Pilato, avrebbe potuto salvare la vita dell’ imputato eccellente.
In teoria sì, In pratica no!
A seguire i Vangeli, Pilato tentò sicuramente di “allungare il brodo” (come diremmo oggi). Temporeggiò,trattò,lusingò (l’invio del prigioniero da Erode Antipa costituì sicuramente un tentativo di aggirare la caparbia del Sinedrio). Ma il punto di non ritorno fu costituito dalla frase che la folla gli urlò contro:
“Se liberi costui non sei amico di Cesare!” (Gv,19,12).
Immaginiamo la situazione:
L’autorità territoriale di Giudea, il Governatore Ponzio Pilato, messo lì dall’impertaore Tiberio (Cesare,appunto) viene accusato dalla folla di Alto Tradimento se si ostinerà ancora a voler difendere un bestemmiatore sconosciuto.
Davanti a tali argomenti nulla avrebbe potuto fare Pilato. Nulla di diverso da quello che fece.
Ma Gesù avrebbe potuto veramente salvarsi?
Crediamo che la risposta corretta a tale domanda debba essere negativa.
Gesù avrebbe potuto salvarsi solo a condizione che “il calice gli fosse passato davanti” senza essere bevuto. Ma quel-
l’ amaro calice da bere era il prezzo per il riscatto dell’intera umanità e andava bevuto.
L’obbedienza di Gesù alla volontà del Padre era il cardine ineludibile; i comportamenti degli uomini furono  sicuramente importanti eppure ,al contempo, consequenziali segmenti di un piano che trascendeva il loro potere.
Gesù doveva morire!
Ma gli uomini nulla opposero con il loro libero arbitrio.

giovedì 10 maggio 2012

Nelle tue Mani. Un giallo d'Autore??

Per tutte le mie amiche ed amici che hanno un IPAD esce oggi il mio romanzo giallo "Nelle tue Mani". Scaricare l'applicazione gratuita KEITAI BOOKSTORE sull' App Store  e poi ,se volete, potete acquistare l'Ebook a soli 2,99€. La mia parte di diritti d'autore è interamente devoluta alla Fondazione Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle Anime creata da Natuzza Evolo. Grazie e...buona lettura!!

venerdì 6 aprile 2012

Simbologia del silenzio nel Venerdì Santo

Tra sangue e silenzio.

La cristianità ha sempre riconosciuto altissimo valore simbolico alla rievocazione delle ultime ore di vita di Gesù. Ultime ore scandite dalla Passione e Morte dell’Uomo di Nazareth.

SI può dire che se la Resurrezione è il momento più alto dell’affermazione di Divinità (si risorge in quanto Dio, o “primizia” di una Divinità che sarà destinata a essere condivisa in seguito da tutto il popolo degli eletti), la Morte che la precede è indubbiamente il risultato dell’assoluta umanità di Gesù che soffre da uomo e da uomo muore, con tutto il corollario di sofferenza,prostrazione,angoscia che sono connaturate a quello stato.

Insomma mentre la Resurrezione è realtà singola, unica, sola di Lui, la passione e la morte sono situazioni immediatamente percepibili, anzi addirittura condivisibili. La seconda delle due,ineluttabile.

Da qui l’immedesimazione forte con l’Uomo dei dolori e della morte che da secoli coinvolge emotivamente la cristianità. Ed in un certo qual senso la conforta.

Se Dio è stato uomo –anche Uomo!- l’uomo è meno solo anche davanti alla Morte ed alla via dolorosa percorsa durante la vita (percorsi condivisi da Dio nella sua contemporanea umanità). La condivisione da parte dell’uomo del dolore e della morte di Dio fanno sì che la speranza della resurrezione sia più comprensibile, meno vana, anche se pur sempre misteriosa.

Ecco perché la simbologia del Venerdì Santo si esalta nel connubio sangue-silenzio. Il sangue come esplicitazione del martirio che precede la morte. Il silenzio come immediata cessazione della vita e delle sofferenze. Stasi definitiva. Annullamento finale di ogni percezione ed espressione.

Pittoresche le rappresentazioni dell’effusione di sangue nelle processioni del Venerdì Santo (si pensi alla tradizione dei c.d. “battenti”, ovvero personaggi che si percuotono infliggendosi ferite sanguinanti); più legato ,invece, all’esperienza meditativa e comune, il silenzio.

In tempi passati il Venerdì Santo era giorno di silenzio. Si evitava persino di ascoltare musica e questo lo ricordo bene anch’io negli anni della mia infanzia.

Un silenzio ricco di significato. In primis appare come rispetto del dolore e della morte. E quindi lutto. Ma non solo. Il silenzio del lutto è soprattutto il risultato del dolore che lascia attoniti prima, e poi prostrati. Si soffre in silenzio, ci si dispera in silenzio. E’ vera e propria cessazione della parola perché ritenuta vana,inutile,inadeguata comunque a dar corpo al dolore che si attraversa, quello sì, per intero.

Questo è indubbiamente silenzio senza speranza.

Eppure non è questo tipo di silenzio –non solo questo,almeno!- a tipizzare la misteriosa compartecipazione emotiva dell’uomo alla Passione e Morte del Cristo. E’ qualcosa di più profondo. E’ la reazione più umana al mistero.

L’uomo non può soffermarsi alla passione e morte di Gesù di Nazareth. Deve -necessariamente deve!- attraversare entrambe e contemplare la Resurrezione. Altrimenti avremmo commiserazione per un uomo, anche grandissimo, ma Uomo a tutto tondo. E tale non è Gesù. Lo è stato sicuramente nelle sue percezioni ed azioni umane, nella sofferenza e nella morte, ma con una contestualità divina che non lo ha mai abbandonato perché Egli è. E non può essere diversamente.

Ed allora il silenzio simbolico del venerdì santo non può non essere totale discesa nel mistero, compenetrazione del mistero della morte ma senza abbandonare la consapevolezza del mistero ancor più grande: la sconfitta della morte, la resurrezione! Ciò che lascia attonito l’uomo non è solo (e come potrebbe?) la morte; essa è esperienza alla quale saremo chiamati tutti in quanto nati, in certo modo fa parte già della nostra concettualità. E’ invece la Resurrezione ad essere del tutto inconcettuale per l’uomo. E’ fideistica,misteriosa,forse perché financo umanamente implausibile. Ed è davanti al mistero che si tace. Davanti al mistero il silenzio si fa più emblematico. Il silenzio del lutto è destinato a soccombere alla vita che continua,fortunatamente. Ma il silenzio del mistero accompagna inesorabilmente fino a diventare attesa. E poi speranza.

(francesco antonio maisano, Bologna 6 aprile 2012)

venerdì 30 marzo 2012

Il rispetto del dolore.

Ho molto apprezzato che la Stampa ed i media non abbiano divulgato le generalità complete dell’artigiano bolognese che si è dato fuoco davanti alla sede di Equitalia a Bologna. Tra l’altro l’attualità di un trattamento sanitario in corso proibisce l’invasività di notizie e impone il rispetto del riserbo.Eppure stamane, nella prima edizione mattutina del Tg5 ho visto e sentito tal Befera,Capo dell’Agenzia delle Entrate, fare gli auguri all’artigiano facendone il cognome.

Poco mi importa se sia stata una svista. Certe sviste non sono ammissibili quando si rivestono incarichi di così alta rappresentanza e responsabilità. Il rispetto del dolore deve partire dall’alto. E non ci sono sviste che tengano. Solo errori, a volte del tutto inescusabili.

sabato 17 marzo 2012

Il "ritorno" della Uno Bianca e quello di Spinosa.



Nel 1993 ero un giovane avvocato penalista, arrivato a Bologna da 7 anni. A me si affidò un altrettanto giovane cliente accusato di un delitto tra i più eclatanti della storia giudiziaria bolognese e non solo: la strage di tre giovanisismi,eroici,Carabinieri nel quartiere Pilastro di Bologna. Era la sera del 4 gennaio 1991, la periferia di Bologna avvolta da una nebbia fittissima. Tre giovani eroiche vite spezzate dalla micidiale azione di fuoco della Banda della Uno Bianca. Solo anni dopo sapremo che quel delitto fu esclusiva opera dei Fratelli Savi,ma nel 1993 a me giovanissimo penalista, fu affidato il destino di un innocente, accusato di quell'omicidio che altri avevano commesso (ndr. I fratelli Savi furono scoperti nel novembre del 1994) . Fu un processo terribile. Un anno e mezzo di udienze davanti alla Corte d'Assise di Bologna. Il mio avversario si chiamava Giovanni Spinosa, tenace pubblico ministero della Procura della Repubblica di Bologna. Un "mastino" fermamente convinto della colpevolezza del mio assistito. Ci siamo confrontati duramente per oltre un anno e mezzo in aula, senza risparmiarci il minimo colpo. Combattendo in udienza, strenuamente, e non certo nei talk show come usa adesso. Gli do atto che è stato un avversario ostico ma alla fine vinse la verità! Eppure non fu un processo ad armi pari. Non poteva esserlo, difficilmente anche oggi lo è. Il Pubblico Ministero ha dalla sua le Forze dell'ordine, per lui nessun mezzo è rispamiato. Le armi della difesa, specie vent'anni fa, erano solo l'ardore e il coraggio. La mia vita professionale e privata fu condizionata pesantemente,completamente da quel processo. Un impegno difensivo come quello ti piglia dentro, ti consuma. Dopo che l'innocenza del mio assisitito fu definitivamente riconosciuta si ribaltarono un pò i ruoli. Io divenni difensore di parte civile nel successivo processo contro la Banda Savi. Difendevo alcune delle loro vittime. Contribuì alla loro condanna all'ergastolo. Ebbi l'onore di vedere confermate tutte quante le mie tesi. Quelle che avevo fatto sin dall'inizio davanti all'altra Corte d'Assise. Quelle per le quali lottai duramente contro l'imponente macchina da guerra investigativa sulla quale Spinosa e il suo Ufficio potevano contare. Sono passati quasi vent'anni d'allora e di quel Pm non avevo più sentito parlare. Forse la sconfitta bruciante lo aveva portato altrove, a fare il giudice.
Sia ben chiaro, non discuto la sua preparazione e la sua tenacia. Come avversario in un'aula difficilmente troverò un altro Giovanni Spinosa. Ma egli era innamorato della sua tesi, e la sua tesi aveva contribuito a portare in carcere degli innocenti. E ciò è terribile,sempre! Ne avevo perso le tracce,ho scritto. Fino all' altro giorno. E' ritornato con la pubblicazione di un libro "L'Italia della Uno Bianca" dove riattualizza le sue tesi che possono essere così riassunte: "Dietro i Savi c'era un connubbio non scoperto con altre entità rimaste non svelate. Si parla di criminalità organizzata, dimenticando che la logica stessa presuppone che la perdurata inviolabilità dei Savi risiedeva proprio nella loro impermeabilità all'esterno. Essi agivano contingentati,blindati. E ciò gli assicurò l'impunità per lungo tempo. In quel libro ho riletto le tesi sulle prove balistiche che osteggiai nella mia arringa in corte d'Assise a Bologna. Spinosa partiva dal concetto che ogni pedina doveva avere un posto indefettibile sullo scacchiere. Io gli replicavo che l'azione delittuosa, quella azione delittuosa, non poteva essere guardata in vitro perchè troppe erano le incognite; la fittissima nebbia aveva giocato un ruolo, l'eclatante drammaticità dell'evento aveva fortemente condizionato le testimonianze. Lui si servì anche di qualche pentito la cui inaffidabilità emergerà chiara nei successivi processi. Una massa di elementi eterogenei che si sublimavano sostanzialmente nella deposizione di una ragazza bolognese e di altri pentiti dei quali riusci,lottando, ad attenere anni dopo il rinvio a giudizio per calunnia. Ma quel processo rimase in un cassetto e il reato si prescrisse. Su una cosa concordo con Spinosa: quel falsi pentiti, quei testimoni menzogneri, avrebbero potuto dire se e chi li aveva imbeccati. Se e chi li aveva spinti a mentire,perchè mentirono su questo nessun dubbio è consentito! Ed invece non fu possibile processarli! Prescrizione del reato! Ancora oggi ritengo questa omissione una grave lesione del Dovere di Verità,una pagina buia della Giustizia in Italia!
Nel libro di Spinosa è clamorosamente assente una verità drammatica: innocenti passarono anni e anni di carcere preventivo prima che l'avvento dei fratelli Savi facesse Giustizia anche di quel terribile errore. E' un caso che non si parli mai, nel libro, di quelle vite spezzate? Non saprei. Ma è un fatto!
L'allora pubblico ministero,oggi giudice, ripercorre la dinamica dell'eccidio del Pilastro. Una dinamica che smontai 18 anni fa in aula e sulla quale non intendo tornare,non adesso, non qui. Persino la Cassazione ha consacrato con sentenza definitiva la verità,alternativa al suo errore. Sono solo artifici dialettici che nascondono una verità più "banale" : innocenti stavano per essere condannati all'ergastolo. E per questa mostruosità sventata in extremis nessuno ha pagato. Nessuno. E quando l'ingiustizia si afferma anche per un breve tratto della vita, la Verità si piega alla forza. E non c'è Diritto. C'è solo miseria!

(In alto, tratto da La Repubblica del 2 giugno 1995, aspettando la sentenza del primo processo per la Strage. A sinistra io, a destra Giovanni Spinosa)

sabato 10 marzo 2012

La paramafiosità nel Concorso esterno associativo.

La paramafiosità nel Concorso esterno associativo.

“Maisano, ho pensato che potrebbe fare la sua tesi sull’ associazione per delinquere. Che ne dice?”

Qualche momento di smarrimento, giusto per domandarmi mentalmente se Giorgio “il Rosso” mi affidava quel compito alla luce dei miei natali calabri o anche dei miei studi in Sicilia prima dell’approdo nell’ateneo pavese dove Giorgio Marinucci, il Rosso appunto, aveva preso la cattedra di Pietro Nuvolone passato in quel di Milano. Insomma quella tesi era buona per un meridionale, dovette forse pensare il genio comunista del Diritto penale italiano. E così iniziai.

L’associazione per delinquere era allora una figura quasi alchemica nel diritto penale di parte speciale. Rinviava a qualche processo storico contro una mafia che ancora non era Cosa Nostra, lo sarebbe diventata con il 416 bis, ma anni dopo. La mafia dei pascoli, vecchio retaggio di una Sicilia normanna dei latifondi. La mafia delle scorrerie in armi, aggravante specifica della quale ancora oggi sono forse l’unica dottrina citata nei manuali. Anche perché l’unica dall’86 in avanti! Chi altri mai –se non io- avrebbe avuto voglia di trattarne?

Insomma, Giorgio il Rosso mi dice di “cercare,esaminare,proporre”. All’epoca la dottrina era solo Vincenzo Patalano e qualche scritto di Gaetano Insolera che poi diverrà mio amico a Bologna. Quindi ci misi molto del mio in quella tesi che sapeva di borbonico, barbaresco, antropologico.

Una cosa mi era chiara: un delitto necessariamente plurisoggettivo, organizzato anche rudimentalmente e con un programma delinquenziale generico per sfuggire alla insidiosa collateralità del concorso di persone nel reato. Era proprio quel pactum sceleris a tipizzarlo, blindarlo, connotarlo.

Un salto decennale e da quell’epoca di pionierismo ci si è catapultati nell’emergenza della lotta a Cosa Nostra.

La nuova figura dell’associazione di stampo mafioso (un “bis” posposto al 416 perché non si poteva fare diversamente) mostrò dei limiti nell’accertamento giudiziario di responsabilità collaterali alla struttura associativa vera e propria.

Insomma che fare verso chi non era intraneo alla “cosca mafiosa” eppure col suo agire ne agevolava le gesta? Quel “terzo livello” non “punciutu” ma collaterale alla mafia come poteva essere punito nonostante l’assenza dell’introneità al sodalizio? E come differenziarlo dalla contiguità dell’area favoreggiatrice (personale e reale) che già era recettiva del post-factum, piuttosto che dal concorso ex art. 110 nei singoli reati fine in itinere?? No, ci voleva qualcosa che punisse alla stregua del partecipe (se non del promotore o capo..) chi non partecipava per definizione,ma aiutava i partecipi,li rafforzava nell’itinerario delittuoso.

Ammetto di non aver mai compreso la plausibile fondatezza di un tale guazzabuglio nomofilachico che per quanto “scritto bene” (Sez.Un.33748/2005;Mannino) -perché Canzio è un gigante del bello scrivere! – è volpino nell’aggirare l’idem sentire associativo a favore di una figura ibrida che rimane consegnata all’argomentare più che al “comprendere” tipico della prescrizione penale.

A me che mi ero abbeverato agli insegnamenti di un purista,e per di più comunista, come Marinucci, tutto ciò ha sempre “saputo di posticcio”, di “para”, di strampalato absit iniuria.

O si è associati o non si è. E se non si è si sarà favoreggiatori nel post-delictum o concorrenti nei (in qualcuno dei..) delitti-fine. Altro non ci è dato teorizzare a meno di evidenti forzature del principio di tassatività e pre-conoscibilità dell’ipotesi delittuosa normata e da sanzionare; con buona pace della Costituzione Repubblicana.

(fam)

venerdì 9 marzo 2012

Di Gesù di Nazareth che fu (anche) insigne penalista.

L’evangelista Giovanni, che fu testimone oculare diretto degli avvenimenti storici che caratterizzarono la vita terrena di Gesù di Nazareth, ci tramanda la mirabile difesa operata dal suo Maestro in occasione di un pubblico giudizio a carico di una donna non meglio identificata.

Il capitolo 8 del suo Vangelo, versetti 1-11, è interamente dedicato all’arringa difensiva che Gesù pronunciò in difesa di una donna gerosolimitana accusata di adulterio.

Resta del tutto incerta l’esatta identità della donna, ed ogni tentativo postumo di identificarla con Maria di Magdala è priva di fondamenti certi.

La donna è tratta davanti al Tempio per essere immediatamente lapidata, attesa la disposizione mosaica che tale pena prevedeva nel caso di adulterio conclamato.

La presenza nel luogo di Gesù spinge gli uomini di legge (farisei e scribi) ad interpellarlo circa l’esattezza di quanto si stanno apprestando a fare.

Gesù di Nazareth, viene ricordato da Giovanni mentre è intento a “scrivere col dito sulla sabbia”.

Nelle epoche successive ci si è letteralmente accaniti ,senza alcun risultato plausibile, nel tentativo di comprendere cosa mai avesse potuto tracciare, col dito sulla sabbia, il giovane nazzareno.

La sabbia, destinata a cancellare ciò che viene scritto su essa, non potè certo tramandarci alcunché al riguardo, e nemmeno ,del resto, apparire leggibile per chi non fosse accanto allo scrittore. Peraltro lo stesso Gesù, subito dopo avere scritto sulla sabbia cancellava ogni cosa con la mano.

Sappiamo dunque che egli..scriveva. E cancellava subito dopo.

Prendeva appunti? Indicava con quel gesto un qualcosa che facesse immaginare ciò che pensava?

Inutile dilungarsi. La cancellazione è ciò che rimase, degli scritto nulla sapremo mai.

Sappiamo però che un primo tentativo operato dagli scribi di ottenere da lui un parere su cosa fosse giusto fare alla donna, rimase senza risposta.

Gesù si fa attendere. Forse che aveva bisogno di ponderare il suo intervento? O forse che quella pausa,in realtà, non fosse uno strumento per concentrare maggiormente su di sé l’attenzione degli astanti? Un po’ come quando il penalista,prima di iniziare la sua perorazione finale, si affida a gesti muti che catturano definitivamente l’attenzione del giudice. Si tocca la toga,l’aggiusta, liscia un pagina del codice. Insomma opera in un magico momento di preambolo ciò che è “l’affermazione del suo ruolo”.

E difatti il secondo invito non rimase senza risposta.

Smesso di scrivere sulla sabbia, Gesù,alla domanda su quale debba essere il destino della donna, pronuncia la sua arringa difensiva. La scelta ricade su un intervento di tipo rapido e risolutivo:

“Chi di voi è senza peccato,scagli per primo la pietra su di lei!”

Nessuno scagliò alcunché, secondo quanto scrive Giovanni e la donna fu lasciata libera di andare.

Gesù aveva scelto di ricorrere ad un’arringa non argomentativa, ma immediatamente risolutiva. Aveva personalizzato il capo d’imputazione rivolgendone il contenuto,esteso, a tutti gli astanti.

Chi è incolpevole del “tutto”,inizi ad eseguire la punizione del ritenuto colpevole per “l’uno”.

Sicuramente la scelta difensiva aveva dei rischi, non c’è dubbio alcuno! Scegliere la sfida secca piuttosto che puntare (ad esempio) sul dubbio richiedeva sangue freddo e una dose massiccia di affidamento sull’esattezza della scelta.

Che si rivelò vincente. Anzi, trionfale.

Ognuno degli astanti fu spinto ad una fulminea e “scabrosa” introspezione ad includendum. Il risultato ottenuto dal difensore fu che nessuno potè dirsi sostanzialmente diverso da chi intendeva punire. La sovrapposizione totale del giudice col giudicato fu un capolavoro assoluto di eloquenza.

Un mirabile esempio di come la difesa possa essere irresistibile se va direttamente al cuore del problema. Senza neanche lasciare all’avversario lo spazio di una replica.

martedì 6 marzo 2012

Riportiamo a casa i nostri "Marò"!

Ci sarà tempo e modo per affrontare con la dovuta ponderazione ogni aspetto di questa intricata vicenda.

Ci si dovrà interrogare,sicuramente, su chi abbia dato l’ordine di entrare in acque interne indiane dopo che le condotte imputate ai nostri soldati si erano realizzate interamente in acque internazionali.

Non v’è dubbio che con il comportamento scellerato di chi ha dato l’ordine di entrare in acque territoriali indiane, originando così l’arresto dei nostri connazionali, ci si è imbucati in modo dilettantesco nella trappola prevista dall’art.27 nr.5 della Convenzione ONU di Montego Bay, ratificata dall’Italia con legge nr. 689 del 1994. Tale articolo dispone che la giurisdizione penale a bordo di nave straniera può essere esercitata dallo stato costiero, per reati commessi prima dell’ingresso della nave nel mare territoriale, solo a condizione che la stessa nave entri poi in acque interne (dello stato costiero.).

L’ingresso della nostra nave nelle acque interne indiane è stata pertanto una scelta scriteriata della quale bisognerà chiedere conto e ragione a chi l’ha imposta!

Purtroppo,come detto, questa è una convenzione internazionale alla quale hanno aderito sia l’Italia che l’India e rappresenta pertanto un punto a nostro sfavore.

Resta il principio di diritto interno italiano (Codice della Navigazione RD nr. 327del 1942) che prevede all’art. 4 il ben noto principio secondo il quale: “Le navi italiane in alto mare e gli aeroplani italiani in luogo o spazio non soggetto alla sovranità di alcuno Stato sono considerati come territorio italiano”.

E’ di tutta evidenza che non possiamo imporre il Codice della Navigazione italiano all’India ma possiamo sicuramente pretendere che in sede internazionale si apra un dibattito urgente sulla detenzione di due militari che “in suolo italiano” hanno esercitato la difesa (sia pure putativa..) su parti del territorio statuale in acque internazionali.

Insomma, molto più che il Diritto deve essere ora la Diplomazia e la Politica a raggiungere il risultato improcrastinabile: la restituzione dei Nostri Ragazzi alle proprie famiglie e al proprio Paese.

lunedì 5 marzo 2012

Mistero.

Pioggia cade,
feroce bussa su questa casa
dove riposi immobile
senza esserci.
Altrove da qui,
sfuggi,
nel mistero.
Almeno credo.
Il tuo non esserci e' reale,
e la pioggia si ostina sulla tua casa di marmo,
dove riposa l'immagine
che non ha più sguardo,
ne' tenerezza,
ne' vita.
Lontana e' l'eco del movimento,
il sorriso che dipingeva la bocca,
la parola che confortava.
Ed e' mistero inaccessibile,
credo.
Anche se non c'è tenerezza,
ne' vita visibile,
sotto la pioggia.

venerdì 2 marzo 2012

La Preghiera dell'Avvocato.


Sua Eminenza il Cardinal Caffarra ha dato il Suo Placet alla la Preghiera dell'Avvocato da me composta. Può pertanto essere recitata.

giovedì 1 marzo 2012

Il mio amico Lucio.

Conobbi Lucio Dalla quando arrivai a Bologna,giovane procuratore legale nel 1985.

All’epoca anche lui amava i sigari Avana, una passione comune che me lo fece conoscere. Preferiva i Bolivar, un sigaro forte come la sua Musica.

Di tanto in tanto ci vedevamo lungo la D’Azeglio pedonale e scambiavamo quattro chiacchiere.

Lo ritrovavo spesso alle Eolie, d’estate, Amava quelle Isole e la cucina di un’amica comune, la Neva al Barbablù.

Ci incrociavamo spessissimo a Messa la Domenica. O alla Chiesa dei Celestini o in San Petronio a mezzogiorno.

Lucio preferiva starsene appartato vicino ad un altare secondario, nascosto alle gente. Aveva il pudore di non disturbare e non voleva essere strumento di distrazione per gli altri.

Prendeva la Comunione per primo e sgattaiolava via. Spesso lo vedevo inginocchiato dietro la grata attigua alla sacrestia, ai Celestini. Concentrato. Quasi dolente.

Lucio aveva grande spiritualità e un Amore profondo per la liturgia e l’essenza del Cristianesimo.

So già dove può essere adesso che scrivo. E non è una vaga idea,la mia.

Ciao Lucio, ti splenda la Luce del Signore!

lunedì 27 febbraio 2012

La prescrizione spiegata al mio vicino.

La prescrizione estingue il reato per l’effetto del mero decorrere del tempo. Passa il tempo,non c’è sentenza definitiva, il tutto dovrà estinguersi perchè non si può continuare ad oltranza a perseguire qualcosa che, man mano, si allontana decantandosi.

Il decorrere del tempo ,però, incontra un limite sostanziale comprensibilissimo: l’innocenza “evidente” del prescrittibile.

Stai attento:

Il tempo è fuggito e ci si deve arrendere, proclamandone l’effetto estintivo sul reato contestato (o da ritenersi sussistente..), e sentenziando (531 C.p.p.) che “non si deve più procedere” perché il reato è estinto. Ma…. cosa accade se il tempo è fuggito e dalla letture delle carte risulta “evidente” che il processato è innocente? Ovvio: bisogna assolverlo pienamente. E la formula di assoluzione (o proscioglimento a seconda della fase…) sarà quelle prevista dal’art. 530 C.p.p. Ovvero: “sei innocentissimo” , il tempo non può nascondere questa verità, ergo il tempo soccombe davanti ad essa e non sarai prescritto, sarai assolto (o prosiciolto..).

Ma sei “mezzo innocente” (se sei colpevole, nulla quaestio, la prescrizione ti farà brindare…) ovvero innocente ma forse…anche no: che accade??

Accade che bisognerebbe addentrarsi nella matassa e sbrogliarla in qualche modo. Ma magari anche in un modo b. E forse in un modo c,d,e etc.etc. Ed allora non va bene!! Perché vuol dire che non è evidente la tua innocenza. Puoi essere innocente, ma anche no. E dunque prevarrà la causa d’estinzione,ovvero la prescrizione. Inutile perdere tempo….diremo che è passato il tempo e Amen!! E’ chiaro,adesso??

domenica 26 febbraio 2012

Il neutrino juventino.

La foto di un pallone che varca per un metro abbondante la linea del gol fa il giro del mondo. E tutto il mondo vede quanto solo uno non ha visto: ovvero chi doveva vedere. Il guardialinee di Milan-Juve giocata nel mese bisesto dell’anno che dovrebbe essere l’ultimo dell’umanità, secondo quanto attestarono i veggenti di un popolo estinto del centro-america (allora, centro-indie), ha tenuto bassa la sua bandierina gialla simbolo di un laissez-faire,laissez-passer. Oggi tutti si interrogano del perché di un errore così marchiano. E si sorprendono. Gente di poca lettura!

Almanaccando tra le gesta di questo signore (Romagnoli, n’est pas?) leggo che fu il misuratore ufficiale della prova di velocità del neutrino svoltasi sotto lo sguardo attento della ministra Gelmini, sotto i tornanti voluttuosi del Gran Sasso. Si determinò che il neutrino, che per l’occasione indossava una giubba bianco-nera, aveva d’un sol colpo spazzato via le certezze ensteiniane, battendo di qualche frazione cronometrica la luce. Anche questa notizia fece il giro del mondo gettando nella più cupa costernazione una pletora intera di scientisti e ridando fiato alle mai sopite teorie alchemiche. “Il neutrino è la faccia nascosta di Dio !”(affermò un quadrisavolo di Nostradamus intervistato da Gigi Marzullo nel programma televisivo di Mezzanotte). “Il neutrino è imprescrittibile per definizione” (disse il pubblico ministero del processo Berlusconi-Mills). Ma un’attenta e più meditata ricerca avrebbe consentito di appurare che il misuratore della velocità del neutrino altri non era che il Romagnoli, proprio lui, il guardialinee che ieri sera non ha visto quanto tutti hanno visto. Si fosse stati più attenti non avremmo messo a rischio i punti feri della scienza, e (soprattutto) la Juventus oggi sarebbe 4 punti sotto di noi. E non sarebbe stato poco. E su questo permettetemi di citare Einstein, quando dal palco di Lucerna stupì il mondo affermando che: “4 punti sono sempre più di 1 !” E aveva ragione.

sabato 25 febbraio 2012

Di Canzona,nostalgie ed altri..Casini.




Da qualche sera l'appuntamento con la cucina di mia moglie ha un ingrediente stonato. Torno da studio e l'itinerario mi e' caro perché conciono sulla tipologia della pasta lunga che mi aspetta. Linguina o spaghetto? O vermicello? La beneamata riflessione finirà solo con la scoperta. La felicita' della scoperta verra' frantumata dal televisore che trasmette le gesta di un iscritto all'albo degli avvocati, tal Canzona di non so dove. E' un giovane ("giovine" n.d.r.) addobbato come i vecchi "paninari"; barbetta mefistofelica, eloquio da Agora' di Neanderthal. Pare combini disastri deontologici, vulcaniche trovate da avanspettacolo, un Fregoli a cui qualcuno ha dato la toga. E' lo specchio dei tempi. Se gli avvocati in Italia sono 250.000 volete che nel totale non ci siano un centinaio di Canzona conclamati? E almeno altrettanti di.. potenziali? E' la legge della ineluttabile probabilità, non mero timore. Insomma, Canzona e affini ce li siamo meritati. Sono la triste conseguenza di un'apertura dissennata a chiunque abbia chiesto di potere esercitare previo lasciapassare dispensato con prodigalità. Ma moglie guarda Canzona e sorride, io lo guardo e malinconicamente mi confermo nella ormai drammatica(?) capacita' di non stupirmi più di niente.
Ma proprio di niente e nessuno. Ad esempio non mi stupisco quando il bel ( "giovine"?) Pierferdinando Casini da qualche sera, prima o dopo Canzona, tuona contro gli avvocati, "lobby forte" che vuole opporsi alle liberalizzazioni. "Casta" che rifiuta di aprirsi ed altre facezie simili. Ecco, lui si' che riesce a turbarmi il momento della "scarpetta". Lo ricordavo moderato segretario di Forlani (genio doroteo) e me lo ritrovo giacobino furente che tuona contro gli avvocati che si ostinano a volersi chiudere. Già, questi avvocati! 250.000 egoisti (con annessi i vari Canzona...) che non vogliono espandersi fino a 500.000! Ingordi oscurantisti!! Mi riprendo dal momentaneo stupore e ricomincio a gustare il sapore della passata di pomodoro. E penso. Penso che dal computo dei voti che il giovine(?) Casini andrà a fare alle prossime elezioni, ne mancheranno moltissimi di quelli espressi da avvocati e famiglie a carico; in cambio avrà qualche pugno di schede marcate da aspiranti Canzona. Ma ritrovo definitivamente il sorriso quando immagino il sicuramente non piu' giovine politico, tra vent'anni, imputato di bagattella condominiale davanti al Giudice di Pace di Vattelapesca, difeso d'ufficio da lui, ma si'...dal vecchio incanutito Canzona. Che aprirà magicamente la sua arringa finale con l'esordio piu' felicemente espressivo (a me caro perché apriva una serie di cartoni animati che ho amato..): " Signir Giudice, siamo tutti qui!"

venerdì 24 febbraio 2012

Il socio di capitale!

Oggi ne ho sentita un'altra: occorre poter aprire a soci di capitale non avvocati, ma che abbiano solo quote di minoranza. In breve: dovrei poter avere un finanziatore esterno che finanzi il mio Studio.
Accipicchia, mi sono detto, e che razza di diavoleria è questa? Io sono cresciuto con gli insegnamenti del mio Maestro e quanto ho imparato lo insegno ora ai miei ragazzi, e quando parliamo di soldi sono solo quelli delle parcelle che ci sudiamo andando in udienza alla mattina. E' un lavoro duro ma lo amiamo. Amiamo mettere la toga sulle spalle e sostenere le ragioni di chi si affida a noi. A fine mese cerchiamo di vedere il bicchiere mezzo pieno. Perchè? Perchè siamo felici di aver fatto ciò che più amiamo, difendere! "Consorti necessari" diceva De Marsico. Compatiamo chi si affida a noi e diamo voce alle istanze di libertà e di innocenza. E se le cose vanno male restiamo a pensare a dove abbiamo sbagliato, se abbiamo sbagliato. E tutte le volte che il Giudice o la Corte legge il dispositivo aspettiamo di sentire un numero "530 Codice di procedura penale", ed allora siamo come i ragazzini che non vedono l'ora di uscire per fregarsi le mani dalla soddisfazione.
Qualcuno dice che questa avvocatura sta scomparendo...che abbiamo bisogno di capitali esterni. Ognuno faccia come crede, per quanto mi riguarda i capitali esterni li mettano nella cassetta delle elemosine, in qualche Parrocchia di campagna!

martedì 21 febbraio 2012

L'ultima battaglia dell' Avvocatura?

Chissà perché, da qualche giorno, quando penso a cosa stanno facendo all’Avvocatura Italiana mi viene in mente la Grecia. Una sorta di congiunzione fatale,immediata,dolorosa.

Si stanno spendendo le ultime monetine di un prestito che sarà rinnovato a tassi d’usura. E solo in pochi resisteranno. E ancor più pochi saranno quelli che capiranno di cosa muoiono.

Tutto ebbe inizio quando l’Avvocatura cessò di essere vista come “madre di tutte le libertà individuali” e retrocessa a “lenzuolata”. Che poi i lenzuoli coprano i morti è patrimonio del notorio. Da Virtù Costituzionale a fetta di mercato. Con l’accusa del dissenso bollato come “rendita di posizione”. Illudendo pletore di giovani aspiranti al grido di “salite sul carro, è roba vostra!” si è creata una riserva di illusioni, un parcheggio di speranze, anticamera del nulla.

Crescendo il numero dei parcheggiati diminuì la considerazione,il rispetto per il ruolo. Oggi 260.000 avvocati devono ulteriormente liberalizzarsi, da avvocato di quartiere ad avvocato di condominio. In un’orgia dispensatrice di speranze che si fregia del sogno “todos caballeros”!

Retrocessi così alla stregua di bottega della via, protestiamo abbassando la saracinesca per due giorni. Mentre tutto brucia noi inseguiamo le fiamme con una bottiglia d’acqua rigorosamente da un litro, rigorosamente del rubinetto.

La gente corre e plaude come davanti alla ghigliottina pubblica. Ma se solo sapessero che dietro un avvocato ferito c’è un assistito morto, forse tacerebbero! O meglio, pretenderebbero almeno una fucilazione onorevole e non alle spalle come quella che si sta perpetrando in danno della più Nobile delle Missioni: quella del difendere, dell’essere consorte, del compatire e combattere per la difesa di chi si affida a noi.

Ma questa idea di Avvocatura esiste ancora? Non è stata forse sepolta da una logica di “mercato a tutti i costi” che trasformerà giovani di belle speranze in parcheggiati cronici a buon mercato, appetibili da associazioni di categoria, cooperative, insomma… veri e propri impiegati senza la tranquillità dello stipendio fisso? Ma se è così, come nascondersi dietro un dito e non pensare che il tutto ebbe origine dal fastidio per il valore Costituzionale della Difesa libera,efficace,senza padroni? Se la Difesa è un Fastidio la Giustizia non è giusta! Diventa un terno al lotto, una gentile concessione, una fortuna che bacia chi vuole.

Ecco perché penso all’Avvocatura e mi viene in mente la Grecia. Lì si è lottato e si lotta per sopravvivere, qui si muore lentamente, flebilmente protestando, mostrando flaccida muscolatura ormai non più avvezza a lottare per la propria stessa esistenza.