Ricordo ancora un mio docente di Filosofia. Mi disse che “Gesù
è stato il più grande filosofo di tutti i temi. Artefice della ricetta ideale
della convivenza pacifica tra i popoli. Un Marx che andava ben oltre la distinzione
tra classi contrapposte e belligeranti per natura.”
L’affermazione includeva ,inevitabile, il destino comune ai
filosofi, la morte fisica.
Molti ne ho incontrati, da allora, come quel mio vecchio
professore. Pronti ad aprire le braccia al pensiero “democratico” del figlio
del falegname. Ma con la stessa prontezza di quell’entusiasmo per l’Uomo Gesù ,
precisavano che l’idea di una resurrezione era cosa fantasiosa, inaccettabile,
buona solo per il popolino.
Personalmente credo che la loro personale posizione non sia poi
così..disperata.
Il fatto di riconoscere la “filosofia” di Jeoshua Ben Joseph mi
pare un buon inizio. Presuppone l’accettazione che la “summa” del suo pensiero,
ovvero il Vangelo, non sia una raccolta fittizia di detti e massime, non riferibili
ad un soggetto storicamente esistito; ma ,al contrario, qualcosa che abbia un “riferito”,
un’origine determinata, con tanto di nome e patronimico.
D’altra parte, a duemila anni di distanza, sarebbe francamente
ardito mettere in dubbio la gran massa di dati storiografici inconfutabili
(dall’opera di Giuseppe Flavio, ai riferimenti di Tacito per arrivare agli
scritti coevi e irridenti della tradizione giudaica che descrivevano l’Uomo
come figlio di un soldato romano autore di stupro in danno di una giovane donna
nazzarena) che attestano pacificamente l’esistenza in vita dell’uomo poi
“crocifisso sotto Ponzio Pilato”.
Il passo che manca –e non è piccolo- è la risurrezione. La sconfitta
della morte. In pratica: l’attestazione indiscutibile della divinità.
Arrivare ad accettare la divinità è cosa di fede, ma non solo
di fede.
Abbiamo a disposizione qualcosa in più del “semplice” cuore,
abbiamo segni che, se esaminati con apertura mentale, possono aiutarci nella
conquista della giusta conclusione.
Non dimentichiamo che le prime copie dei Vangeli (quello di
Marco, sicuramente) circolavano già quando ancora molti dei discepoli originari
erano in vita, e tantissimi dei testimoni delle “gesta” del Figlio del
falegname erano capaci di ascoltarle e confutarle, se del caso.
Ebbene, sappiamo che quella prima comunità cristiana crebbe
vertiginosamente. Era una comunità che si riuniva con la presenza, spesso, di
Maria, di Simon Pietro, di Giacomo, di Giovanni.
Perché così tante persone avrebbero dovuto “fidelizzarsi” attorno
a un credo basato essenzialmente sul ritorno alla vita di un morto,
proclamandone il ritorno in vita?
A contrastare l’isteria di massa sarebbe bastato poco. Molto
poco. La riesumazione del cadavere. La tortura diffusa al fine di ottenere confessioni.
Ebbene, niente di tutto questo. Una comunità intera affrontò il martirio
votandosi al Risorto. A che prò, se fosse stata una semplice bugia?
A differenza di molti suicidi di massa ,tipici di alcune sette
dell’era successiva alla Grande Guerra, i primi cristiani non decisero di farla
finita in modo eclatante. Anzi, continuavano a vivere nel loro tessuto sociale
cominciando a mettere in pratica il Vangelo. Non disprezzavano la vita.
Cercavano solo di viverla meglio, in simbiosi con gli insegnamenti che avevano
ricevuto. Nulla di più lontano, dunque , da fenomeni isterici collettivi.
Tirando un po’ le somme di quanto precede, è facile intuire che
proprio la testimonianza collettiva, diffusa e in diffusione, è prova forte
della veridicità dei Vangeli.
Pietro, così pavido durante il processo a Jeoshua Ben Joseph
davanti a Pilato, sarà forte come pietra durante il supplizio che lui stesso
subirà a Roma. Come lui Paolo, ed altri innumerevoli.
Il comportamento di questi uomini ci porta a credere che
morirono per qualcosa di vero, autentico, indiscutibile. Non certo per un
ideale filosofico.
Ma la conquista di verità , anche se autentiche, è giusto venga
lasciata al libero arbitrio di ognuno di noi. Siamo liberi di accettare o
negare. L’importante è ,però, non prendersi in giro: ci sono prove sufficienti
per credere alla divinità del Figlio del falegname. Molte più di quelle che lo
vogliono solo filosofo, il cui cadavere è andato perduto.
(Francesco Antonio Maisano,Bologna,2013.)