venerdì 18 aprile 2014

La Croce sulle Spalle





racconto breve
  Francesco Antonio Maisano











Seguo mio padre. 
I suoi passi davanti ai miei. 
La polvere sollevata dai suoi calzari è il segno che Gerusalemme si avvicina. 
Ancora un anno senza pioggia. I campi soffrono e tra qualche mese dovremo seminare ed attendere,come sempre.
Il mio nome è Alessandro. Ho un fratello, Rufo, che oggi non è con me. Di solito accompagniamo nostro padre Simone, ogni mattina, nell'appezzamento di terra che la nostra famiglia possiede a cinque miglia dalle mura esterne della città. E’ una terra che ci dà da vivere. E’ tutto ciò che abbiamo.

I Romani ci chiedono sempre nuove tasse.
Ponzio Pilato, il procuratore, anche quest’anno ha lasciato Cesarea per venire a Gerusalemme.  
La città è piena di soldati e stamattina quando siamo partiti, di buon’ora, ci hanno controllato due volte. Frugano dappertutto. Temono che nascondiamo armi come fanno gli zeloti che ,mischiandosi tra la folla, attentano alla vita dei legionari colpendoli di sorpresa con i loro corti pugnali.
Noi non combattiamo nessuno. Ma guardiamo il cielo in attesa che dalle rare nuvole possa piovere acqua, e salvare quel poco che abbiamo.

La Fortezza Antonia domina Gerusalemme.
Le insegne della Legione chiazzano di rosso l’orizzonte.

2


             Mio padre si ferma ad aspettarmi e mi poggia il suo braccio sulla spalla.
All’ingresso in città ci sono persone sedute sul muretto di cinta prima della Porta a nord-ovest.
Ci fermiamo anche noi a guardare.
Un drappello di soldati sta conducendo tre condannati a morte. Mi faccio largo tra la gente per vedere.
Camminano lentamente e in silenzio. Nudi. Sulle spalle portano la trave nella quale gli verranno inchiodati i polsi quando saranno crocifissi. 
I primi due li posso già vedere. Sembrano zeloti. Il terzo arranca sofferente, più debole degli altri e perde sangue dalle tante ferite aperte. 
Barcolla. Cade.
E’ a terra. Non credo ce la faccia ad alzarsi. Un soldato lo colpisce con un calcio sul fianco. Lui non reagisce. Un altro calcio.
Mi stringo a mio padre che guarda in silenzio. Tutta la gente è  in silenzio e il colpo secco del terzo calcio rimbomba nell’aria. 
Chi comanda il drappello si spazientisce. Guarda verso di noi. Fa segno verso di noi. Mi stringo sempre più a mio padre. E’ sudato.
L’ufficiale romano,con la sua spada, indica a mio padre di avvicinarsi.
L’uomo a terra non accenna a muoversi. Gli sfilano le corde dal legno e lo liberano dal peso che lo costringe a faccia in giù. Fanno cenno a mio padre di caricarsi la trave. Nessuno si cura della mia presenza. Io non esisto.

                    Se la nostra meta finale è il terrapieno del Golgota c’è ancora almeno un miglio da percorrere. 
Mio padre si sistema il legno sulle spalle e inizia a camminare.
Il condannato,nel frattempo,è stato rialzato di peso dai soldati .Ora barcolla a pochi metri da me.
E’ un uomo alto quanto mio padre,magro,pieno di sangue dappertutto. Mi sforzo di guardarlo in faccia per non vedere la sua nudità. Mi imbarazza,molto più del sangue e delle ferite che ha su tutto il corpo.
Ha i capelli lunghi e sulla testa gli hanno intrecciato dei rami spinosi come una corona. Le spine affondano sulla fronte e la feriscono. E’ una maschera di sangue.
Sono tra lui e mio padre.
L’uomo mi guarda di sfuggita. Posso appena vedere i suoi occhi velati. Non ne scorgo il colore tra il sangue.
Camminiamo lentamente. Io subito dietro mio padre. L’uomo è ora a pochi passi da me. Cerca un sostegno, barcolla. Mi guarda e vedo le sue labbra socchiudersi ma non capisco.
Cade.
E’ a terra ancora. 
Mio padre si ferma. 
Il soldato grosso, quello che prima aveva preso a calci il condannato, lo tira ora per i capelli. Cerca di farlo rialzare. Lo trascina per la strada. C’è sangue, sangue dappertutto. Ne sento l’odore dolciastro, forte, nauseante.
La gente guarda, si accalca da ambo i lati dello sterrato. Alcuni gridano, altri ridono forte additando lo sventurato Non c’è pietà nemmeno davanti a tanta sofferenza.
Mio padre mi chiama a gesti, mi fa segno di andare via.
Non voglio tornare a casa! Non voglio lasciarlo da solo!
Il condannato è ora in piedi, incespica, non trova alcun appoggio. Barcolla come un ubriaco, si guarda attorno, cerca qualcuno o qualcosa. 
Ora è più vicino a me. Riprende ad avanzare un passo dietro l’altro. Vorrei poterlo aiutare. Guardo le sue carni martoriate; il suo corpo è attraversato da sussulti continui. 
Anche mio padre ha ripreso ad andare avanti sotto il peso della trave che porta sulle spalle.
Il sole è forte. Non c’è un alito di vento. Neanche una nuvola in cielo. 
Cos’ha fatto quest’uomo che spinge il suo terribile dolore a pochi passi da me? Ci ha ucciso? Forse è uno zelota, un rivoluzionario. Uno che combatte i romani, illudendosi di poterci liberare dalla loro dominazione, dalla loro prepotenza. 
Una donna grida e si strappa i capelli ,  disperata.
Un’altra corre rapida verso di noi e prima che un soldato possa fermarla, gettandola a terra, riesce per un attimo a detergere il viso del condannato con un lino.
Ora posso vederlo! Gli occhi socchiusi, il viso stanco, la gola che cerca l’aria con affanno. Si guarda attorno muovendo il collo lentamente. Sembra cercare qualcuno tra la folla. Qualcuno che non c’è o si nasconde per non vedere o non essere visto.
Nel cielo un corvo gracchia e vola altrove.
Barcolla ciò che resta dell’uomo e poi cade ancora.

“Acqua” “Acqua” questo sillabano le labbra spaccate dai colpi di bastone.
Io non posso più guardare altrove. 
La piccola otre di pelle di capra che pende dalla mia cintura è già sganciata ed io sono accanto a lui prima che il corvo ripassi sopra di noi. E lui può bagnarsi le labbra ferite e guardarmi, e dirmi: “ancora!”. I soldati mi lasciano fare, non intervengono. Uno di loro si limita a frustare l’aria davanti a sé.
Mi passo il suo braccio sinistro sulla spalla e lo aiuto a rialzarsi. Si appoggia a me ed ora è in piedi, curvo,tremante. Sento la sua mano abbandonata sul mio braccio. E il sangue mi inzuppa la veste.

Camminiamo lentamente. I soldati accettano quanto sto facendo.  Forse è il modo più semplice per non perdere altro tempo.
Seguo mio padre. Ho la testa bassa per il peso e posso solo guardare i suoi calcagni. 
Stavamo tornando a casa dai campi e invece adesso uno porta la croce ed io accompagno il condannato a morirci sopra. Senza sapere nemmeno cos’ha commesso e perché va a morire. Vorrei essere altrove. Dappertutto, ma non qui. E vorrei essere con mio padre, con Rufo e con mia madre che ci starà aspettando per preparare la Pasqua. 


Faccio attenzione a non pungermi con le spine che hanno intrecciato sulla sua testa. Spine che sono conficcate lungo tutta la fronte. Mi chiedo come possa resistere a tanta sofferenza. 
Ora si appoggia interamente su di me. Non riesco a trattenerlo. Cerco di aiutarlo a non cadere ma è pesante.
E cade ancora.
Per la terza volta.
Le mosche attratte dal sangue non ci danno tregua. Cerco di caricarmelo addosso ma non mi aiuta. Ed è tutto così difficile, così difficile.
Anche il corteo si è fermato. Mio padre appoggia la trave di legno a terra per riposarsi. I romani bevono vino da una fiaschetta che si passano l'un altro e ridono raccontandosi qualcosa che non capisco.
Non credo che quanto resta di quest'uomo potrà sopravvivere ancora per molto. I suoi respiri sono accelerati,lo sguardo spento, le labbra tremano convulse.
Mio padre si avvicina e aiuta l'uomo a rialzarsi , col braccio libero lo cinge a sè. Iniziano a camminare. 
Rimango fermo e il corteo mi oltrepassa e prosegue verso il terrapieno appena al di fuori dalle mura della città. 
Ed io resto solo,coperto di sangue. Il sangue di chi nemmeno conosco.


Issano le croci.
Mio padre è tornato qui, dove sono rimasto ad aspettarlo.
La distanza che c’è ora tra noi e quelle croci mi conforta.
I lamenti dei crocifissi non giungono fino a qui, posso solo immaginarli.
“Che hanno fatto,padre?”
Non mi risponde.
La croce dell’uomo a cui ho dato da bere è stata posta al centro.
Sotto di lui, i soldati,stanno seduti e discutono animatamente.
Il vento ha preso a soffiare forte e la sabbia ci ferisce il volto. Mi riparo per come posso. Il sole si vela. Sterpaglie rotolano lungo il pendio del terrapieno. Faccio fatica a seguire quanto accade.
Un grido di morte arriva portato dal vento.
Un grido indefinito.
Lontano.
Ci uniamo agli altri e iniziamo ad abbandonare le mura esterne della città.
Non c’è più niente da vedere se non la morte di chi nemmeno conosciamo.
Mio padre mi precede nel cammino verso casa.
Mi volto a guardare le croci che si allontanano ad ogni mio passo.
E il vento rinforza le sue sferzate.
Il sangue dell’uomo, sulla mia veste, si è rinsecchito.
Mi giro per guardarlo ancora ma non vedo più nulla.
La sabbia portata dal vento riempie tutto l’orizzonte ed anche il sole, ora, non spande più i suoi raggi e il suo calore.


(fine)













Nota:
http://it.cathopedia.org/wiki/Simone_di_Cirene

Nel 1941 furono ritrovati nella zona del Cedron, a Gerusalemme, alcuni ossari. 
Uno reca l’iscrizione “Alessandro figlio di Simone”.
La comunità archeologica è ormai concorde nel ritenere che sia la tomba di Alessandro, figlio di Simone di Cirene.
Il vangelo di Marco così recita:
Mc 15,21 “Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce.”

Ho sempre considerato questo ritrovamento una delle prove più convincenti della storicità dei Vangeli.

martedì 8 aprile 2014

In morte di un Innocente !

Quando iniziai la pratica professionale, tanti anni fa, sperimentai la massima sconfitta per un difensore: l'assistito di cui segui la vicenda decide di finire anzitempo la sua battaglia. Appende una corda a un'inferriata in carcere e dice addio ad ogni cosa, Nel modo più violento sia dato conoscere. Oggi, tanti anni dopo, rivivo la stessa angoscia per un uomo innocente che di una falsa,terribile, accusa è morto. Un tumore l'ha stroncato a 54 anni. Un male nato dall'angoscia, dalla sofferenza profonda. Non mi rispondeva più al telefono ed io dovevo comunicargli che finalmente iniziava la battaglia, che saremmo andati in aula il 10 aprile. Non poteva rispondermi. Quel messaggio di "numero inesistente" mi aveva messo i brividi. Poi la scoperta terribile. Mi piace pensare di aver fatto tutto il possibile nella fase dell'investigazione difensiva. MI piace pensare che ero pronto a lottare per la sua innocenza senza esclusione di colpi. Ma è una battaglia che non ci sarà più. Ma ho una certezza: dove si trova adesso la Vittoria è già con lui, perché era un uomo Innocente! Lo è sempre stato. Riposa in pace,amico mio.