Mi è capitato recentemente di sentire una persona che conosco,
fare la seguente affermazione:
"Gesù è sicuramente un ideale, ma non si possono non avere
dubbi sulla sua reale esistenza, sul suo essere stato (anche) una persona fisica”.
Tesi peraltro abbastanza diffusa che porterebbe a relegare nel campo della immaterialità
qualcuno che, invece, ha vissuto un’esistenza umana, ha calpestato la terra, ha
mangiato i frutti della terra, si è beato del sole le, si è riparato dalla pioggia.
Ho risposto a questo amico che sbagliava.
E credo di averlo convinto. Come? Non è stato difficile.
I Vangeli non sono opere di fantasia.
Sono stati scritti in un’ epoca nella quale erano ancora in
vita persone che, solo volendo, avrebbero potuto smentirli. E con la forza persuasiva
dell’evidenza!
Non abbiamo prova di alcuno scritto che metta in dubbio che un
uomo di nome Yeoshua Ben Joseph non sia stato effettivamente mandato a morte
dal Governatore romano di Giudea, Ponzio
Pilato.
Anche se volessimo prescindere dal racconto (scarno, invero)
che ce ne fa Giuseppe Flavio nelle sue “Antichità Giudaiche” ci troveremmo a
dover fare i conti con le tracce che la storia non disperde mai. Tracce che
,una volta venute ala luce, testimoniano in maniera incontrovertibile ciò che è
accaduto.
Discorrendo col mio amico dubbioso, l’ho invitato a riflettere
su una tomba. Sì, proprio una tomba.
Quella trovata nel 1941, nella valle del Cedron a Gerusalemme,
dal Prof. Eleazer Sukenik dell’Università Ebraica di Gerusalemme.
All’interno della tomba vi erano 13 urne funerarie ed una
lampada ad olio. La datazione fatta col carbonio 14 ha rivelato senza alcuna
ombra di dubbio che trattasi di urne funerarie del I° secolo dopo Cristo;
quindi il periodo nel quale Gesù visse la gran parte dei suoi 36 anni (potendo
datare la sua morte nell’anno 30 d.C).
Ciò che ci interessa maggiormente sono alcune delle iscrizioni
funerarie.
“Alessandro figlio di Simone” ed “Alessandro di Cirene”.
Come detto, questi sono fatti certi. Non possiamo minimamente
metterli in dubbio. C’è la tomba, ci sono le urne, ci sono le scritte e la
datazione.
Procediamo:
nel Vangelo di Marco (15,21) leggiamo:
“costrinsero, un certo
Simone di Cirene che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a
portare la croce….“.
Al contrario di Simone, il nome Alessandro non era molto
diffuso in Giudea nel I° secolo d.C. Se ne contano pochissimi in tutta la
regione (per l’esattezza solo 31 volte emerge
in tutto il materiale scritto ritrovato).
Quante possibilità che questo Alessandro figlio di Simone il
Cireneo sia una persona diversa da quella citata da Marco? Scarse davvero,
forse infinitesimali.
Ora esaminiamo la circostanza da un punto di vista sinottico:
Il vangelo di Marco può essere ormai tranquillamente datato
attorno all’anno 58/60 d.C. quindi entro un range di tempo inferiore
sicuramente ai 35 anni dalla morte di Yeoshua ben Joseph.
Scrivere qualcosa nell’attualità, ce lo insegna l’esperienza,
significa esporsi alla smentita.
Se voglio diffondere una bufala mi guarderò bene da circostanziare
la bugia che dico. Il rischio di essere smentito cresce quanto crescono i
particolari, i dettagli.
Immaginiamo allora che interesse avrebbe avuto l’evangelista
Marco ad inserire un particolare che sarebbe stato agevolmente smentito da
Alessandro stesso e, se non da lui, dai suoi stessi parenti?
Una bugia conclamata avrebbe inficiato la credibilità di tutto
il racconto. Tutto il vangelo sarebbe stato “bollato” come opera falsa.
Tutto ciò non accadde.
Abbiamo pertanto la prova che in quell’aprile dell’anno 30, Yehoshua
ben Joseph fu aiutato a portare la croce (o il solo patibulum, la trave orizzontale da fissare poi al palo) dal padre
di Alessandro (e di Rufo, altro figlio di Simone di Cirene), Simone di Cirene
appunto.
E’ la prova dell’esecuzione di una condanna a morte. La condanna
a morte di un uomo, Yeoshua ben Joseph.
Che sia poi risorto perché figlio di Dio, appartiene alla sfera
del dogma, della Fede.
E la Fede prescinde da ogni possibile traccia che non sia nel
cuore di ognuno di noi. Com’è giusto che sia.
Francesco Antonio Maisano
Bologna
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