L’ennesimo
suicidio in questi mesi di crisi che attanaglia un po’ tutti.
Stavolta
ha scelto di andarsene via, impiccandosi ad una trave del soffitto di casa , un
uomo di 62 anni. Un carpentiere licenziato due anni fa, lasciato per strada senza il sostegno di ammortizzatori sociali.
Solo,
col suo fallimento.
La
famiglia lo ricorda nei manifesti funebri come vittima di uno Stato assente.
Non
era assente la gente del suo paese che lo ha accompagnato nell’ultima dimora
terrena. La solidarietà post mortem è sempre generosa.
Questo
è un suicidio che tocca nel profondo.
Innanzitutto
perché un uomo , che si avvicina all’ età nella quale un tempo si iniziava una
nuova stagione della vita , deve invece fare i conti con la difficoltà di
ritagliarsi spazi di reddito. Fuori dal mercato del lavoro, fuori da ogni
circuito di assistenza, solo davanti ad uno
specchio che riflette , giorno dopo giorno, l’immagine delle occasioni
perdute, del tempo che è volato, di un successo che non si è conseguito.
La
più sola delle solitudini, la più triste delle tristezze.
Vissuta
a quell’età non si accompagna più nemmeno a un barlume di speranza, capace di
far rigirare la clessidra ancora qualche volta.
Qualcuno
dice: che colpa ne ha lo Stato se ti ammazzi?
Mi
trovo invariabilmente a rispondere che lo Stato siamo noi, e chi si ammazza è
perché resta solo, quindi “anche” senza di noi.
Questi
sono anni in cui l’esigenza primaria non è il benessere del consociato, ma
l’ordine di cassa, i conti che tornano, il giusto bilanciamento tra spese e introiti.
Insomma un fatto di ragioneria.
Come
se la vita scorresse su una pagina a
quadretti.
Credo
sia arrivato il tempo di ripensare alle scelte di macroeconomia per tutti quei
Paesi che non ce la fanno più a seguire l’esempio virtuoso (e quanto casuale?)
di Germania e altri pochi. Se lo sforzo di “stare dentro” deve corrispondere
allo strozzamento della capacità reddituale del singolo allora forse è il
momento di cambiare. O di far cambiare gli altri esponendo esigenze ultimative.
Avere
i conti in regola e staccare cadaveri dai soffitti non è comunque un successo
del quale andare fieri. Io, almeno, me ne vergognerei senza conforto alcuno.
(fam,Bologna
3 maggio 2013)
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