giovedì 17 ottobre 2013

Il reato di "negazionismo" e le...chiacchiere da bar.










Nelle ultime ore mi è capitato di leggere le teorie più disparate in relazione agli “effetti perversi” di una eventuale introduzione del reato di “negazionismo” all’interno del nostro codice penale.
Ho letto che si punirebbero le opinioni; che sarebbe morta la libertà di espressione; che tutti saremmo un po’ meno liberi.
Insomma è passata una visione secondo la quale: se due amici un po’ brilli dentro un bar, parlottando tra di loro, mettono in discussione l’esistenza dei campi di concentramento nazisti vengono portati in cella senza passare dal via.
Io credo sia il caso di mettere un po’ di ordine, prima di decidere se si tratta di un reato “che punisce la libera circolazione del pensiero”, come anche ho letto da qualche parte.
Il nostro sistema penale conosce già reati di istigazione ed apologia. L’art. 414 C.p. punisce chi “pubblicamente” istiga a commettere reati ed anche chi, pubblicamente, fa apologia di uno o più delitti.
Fermiamoci appunto sul concetto di “apologia”.
La giurisprudenza della Suprema Corte ha più volte sancito che l’apologia di uno o più reati non si concretizza solo “nell’esternazione di un giudizio positivo su un episodio criminoso” occorre invece che la modalità di compimento porti ad un “rischio non teorico ma effettivo della consumazione di altri reati” (Sez.Ia, n.8799/1999) .
Ancor di più viene specificato che ,stante la natura di delitto contro l’Ordine Pubblico, anche se il turbamento (dell’Ordine pubblico..) non deve essere accertato in concreto, occorre che lo stesso sia positivamente riscontrato (nella sua potenzialità..) attraverso un giudizio ex ante.
Insomma non tutte le manifestazioni di pensiero sul c.d. negazionismo rischiano di richiamare l’attenzione del rimprovero penale, devono essere suscettibili di ledere il bene giuridico protetto (l’ordine pubblico), essere pertanto “pubbliche” e dunque destinate all’ampia diffusione.
L’introduzione  del “nuovo reato di negazionismo” attraverso la modifica del già esistente comma 4 dell’art. 414 C.p. non è altro che una “specificazione” che si muove all’interno della cornice generale dell’istigazione od apologia.
La nuova addenda prevede un’area di punibilità per “chi nega l’esistenza di crimini di genocidio o contro l’umanità”.
Pretendere di dare un giudizio sul questa addenda all’art.414 ignorando quanto sino ad ora sviluppato  dalla giurisprudenza anche costituzionale (C.Cost. n.65 del 1970) pare essere un fuor d’opera. Lascia intendere che venga punito l’estemporaneo discorso tra due o tre “stupidotti” che negano l’esistenza dei campi di sterminio piuttosto che delle foibe o dei martiri dello stalinismo.
Così non è e non credo sia mai stato oggetto di valutazione per il legislatore.
Ci muoviamo nell’ambito di delitti che affliggono l’Ordine Pubblico, sia pure mettendolo solo in pericolo.
E’ necessaria pertanto che la negazione del crimine di genocidio avvenga pubblicamente nell’ambito di attività che possa essere potenzialmente volta all’istigazione. Anche nelle forme dell’apologia il reato di negazionismo prevedrebbe “la messa in pericolo della pubblica convivenza”. Sarebbe richiesto il dolo generico, ovvero la consapevolezza che la “negazione” del crimine di genocidio  fatta in ambito pubblico possa avere effetti istigativi e apologetici (per tutte: Cass.n.964/1964).
Insomma l’area di punibilità richiede un’offensività che va ben oltre la chiacchiera tra amici o la conversazione salottiera!



Francesco Antonio Maisano
      avvocato in bologna

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