Nelle
ultime ore mi è capitato di leggere le teorie più disparate in relazione agli
“effetti perversi” di una eventuale introduzione del reato di “negazionismo”
all’interno del nostro codice penale.
Ho letto
che si punirebbero le opinioni; che sarebbe morta la libertà di espressione;
che tutti saremmo un po’ meno liberi.
Insomma
è passata una visione secondo la quale: se due amici un po’ brilli dentro un
bar, parlottando tra di loro, mettono in discussione l’esistenza dei campi di
concentramento nazisti vengono portati in cella senza passare dal via.
Io
credo sia il caso di mettere un po’ di ordine, prima di decidere se si tratta
di un reato “che punisce la libera circolazione del pensiero”, come anche ho
letto da qualche parte.
Il
nostro sistema penale conosce già reati di istigazione ed apologia. L’art. 414 C.p.
punisce chi “pubblicamente” istiga a commettere reati ed anche chi, pubblicamente,
fa apologia di uno o più delitti.
Fermiamoci
appunto sul concetto di “apologia”.
La
giurisprudenza della Suprema Corte ha più volte sancito che l’apologia di uno o
più reati non si concretizza solo “nell’esternazione di un giudizio positivo su
un episodio criminoso” occorre invece che la modalità di compimento porti ad un
“rischio non teorico ma effettivo della consumazione di altri reati” (Sez.Ia,
n.8799/1999) .
Ancor
di più viene specificato che ,stante la natura di delitto contro l’Ordine
Pubblico, anche se il turbamento (dell’Ordine pubblico..) non deve essere accertato
in concreto, occorre che lo stesso sia positivamente riscontrato (nella sua
potenzialità..) attraverso un giudizio ex
ante.
Insomma
non tutte le manifestazioni di pensiero sul c.d. negazionismo rischiano di
richiamare l’attenzione del rimprovero penale, devono essere suscettibili di
ledere il bene giuridico protetto (l’ordine pubblico), essere pertanto
“pubbliche” e dunque destinate all’ampia diffusione.
L’introduzione
del “nuovo reato di negazionismo”
attraverso la modifica del già esistente comma 4 dell’art. 414 C.p. non è altro
che una “specificazione” che si muove all’interno della cornice generale dell’istigazione
od apologia.
La
nuova addenda prevede un’area di punibilità per “chi nega l’esistenza di
crimini di genocidio o contro l’umanità”.
Pretendere
di dare un giudizio sul questa addenda all’art.414 ignorando quanto sino ad ora
sviluppato dalla giurisprudenza anche
costituzionale (C.Cost. n.65 del 1970) pare essere un fuor d’opera. Lascia
intendere che venga punito l’estemporaneo discorso tra due o tre “stupidotti”
che negano l’esistenza dei campi di sterminio piuttosto che delle foibe o dei
martiri dello stalinismo.
Così
non è e non credo sia mai stato oggetto di valutazione per il legislatore.
Ci
muoviamo nell’ambito di delitti che affliggono l’Ordine Pubblico, sia pure
mettendolo solo in pericolo.
E’
necessaria pertanto che la negazione del crimine di genocidio avvenga
pubblicamente nell’ambito di attività che possa essere potenzialmente volta
all’istigazione. Anche nelle forme dell’apologia il reato di negazionismo
prevedrebbe “la messa in pericolo della pubblica convivenza”. Sarebbe richiesto
il dolo generico, ovvero la consapevolezza che la “negazione” del crimine di
genocidio fatta in ambito pubblico possa
avere effetti istigativi e apologetici (per tutte: Cass.n.964/1964).
Insomma
l’area di punibilità richiede un’offensività che va ben oltre la chiacchiera
tra amici o la conversazione salottiera!
Francesco
Antonio Maisano
avvocato
in bologna
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