venerdì 25 maggio 2012

Il braccialetto elettronico della Severino




Tra i primi interventi della neo ministra molti di noi ricordano il vero e proprio atto di fede nel “braccialetto elettronico”. E di atto di fede assoluta bisogna parlare, visto che si tratta di uno degli utensili meno conosciuti in assoluto da addetti ai lavori e non.
Immagino che il ricorso della Ministra al congegno fosse volto a sottolineare un aspetto meno prosaico e più sostanziale: l’esigenza di decarcerizzare, per quanto possibile, in ossequio al principio costituzionale di cui al-
l’ art. 27 e, nell’immediato,  come rimedio al sovraffollamento inframurario ormai insostenibile.
Diciamo subito che se vi era una petizione di principio nell’intervento della Ministra questo era (ed è!) nobile, opportuno ed anzi assolutamente indifferibile.
Eppure la Ministra,con un semplice ricorso al database ministeriale, avrebbe potuto (e può!) constatare come a fronte del suo condivisibile zelo programmatico  esistano  soluzioni concrete a portata di mano. Prendiamo ad esempio i condannati a pena definitiva non superiore (anche quale  residuo) ai tre anni che si trovino in regime di arresti domiciliari per reati di c.d. “seconda fascia” (art. 4 bis O.P) al momento dell’esecuzione.
Il c.d. “passaggio obbligatorio in carcere” al fine di chiedere,in vinculis, al Tribunale di Sorveglianza la concessione di uno dei benefici alternativi al carcere costituisce ,al momento, una delle maggiori ricadute numeriche del reingresso in carcere.
Ragionando proprio sulla casistica dei c.d. reati  di “seconda fascia” sappiamo che i benefici penitenziari sono fruibili “purchè non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata,terroristica o eversiva”. Quindi nessuna prevenzione in negativo invincibile ed assoluta. Ma solo condizionata all’esito dell’accertamento.
Ebbene, non si comprende allora per quale motivo tale accertamento non possa effettuarsi, direttamente, durante il periodo di permanenza agli arresti domiciliari del ristretto  che in tale regime si trovi, in attesa della definitività.
Basterebbe utilizzare lo stesso periodo temporale per l’acquisizione di documentazione attestante la cessazione di ogni pericolo di attualità di collegamenti delinquenziali che sarebbero portati alla conoscenza del Magistrato di Sorveglianza (con garanzia del contraddittorio) nei trenta giorni di sospensione dell’emissione dell’ordine di esecuzione da parte del PM.
Una semplice operazione di addenda legislativa nel corpo del comma 9 lett.a dell’art. 656 C.p.p. renderebbe possibile evitare il “passaggio in carcere” per un soggetto ormai già avviato alla risocializzazione (si pensi al caso dei domiciliari “allargati” nei quali l’interessato svolge proficuamente e con diligenza un’ attività lavorativa) e che ha completamente interrotto, in modo incontrovertibile, ogni collegamento con la criminalità.  Con buona pace dell’art. 27 della Costituzione che vedrebbe così non oltraggiato il principio di rieducazione della pena.
Se la Signora Ministra ,abbandonando il terreno della  tecnologia, cercasse un rimedio all’interno del Codice forse si potrebbe fare un buon lavoro. Sicuramente un …lavoro di Civiltà Giuridica.


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