sabato 17 marzo 2012

Il "ritorno" della Uno Bianca e quello di Spinosa.



Nel 1993 ero un giovane avvocato penalista, arrivato a Bologna da 7 anni. A me si affidò un altrettanto giovane cliente accusato di un delitto tra i più eclatanti della storia giudiziaria bolognese e non solo: la strage di tre giovanisismi,eroici,Carabinieri nel quartiere Pilastro di Bologna. Era la sera del 4 gennaio 1991, la periferia di Bologna avvolta da una nebbia fittissima. Tre giovani eroiche vite spezzate dalla micidiale azione di fuoco della Banda della Uno Bianca. Solo anni dopo sapremo che quel delitto fu esclusiva opera dei Fratelli Savi,ma nel 1993 a me giovanissimo penalista, fu affidato il destino di un innocente, accusato di quell'omicidio che altri avevano commesso (ndr. I fratelli Savi furono scoperti nel novembre del 1994) . Fu un processo terribile. Un anno e mezzo di udienze davanti alla Corte d'Assise di Bologna. Il mio avversario si chiamava Giovanni Spinosa, tenace pubblico ministero della Procura della Repubblica di Bologna. Un "mastino" fermamente convinto della colpevolezza del mio assistito. Ci siamo confrontati duramente per oltre un anno e mezzo in aula, senza risparmiarci il minimo colpo. Combattendo in udienza, strenuamente, e non certo nei talk show come usa adesso. Gli do atto che è stato un avversario ostico ma alla fine vinse la verità! Eppure non fu un processo ad armi pari. Non poteva esserlo, difficilmente anche oggi lo è. Il Pubblico Ministero ha dalla sua le Forze dell'ordine, per lui nessun mezzo è rispamiato. Le armi della difesa, specie vent'anni fa, erano solo l'ardore e il coraggio. La mia vita professionale e privata fu condizionata pesantemente,completamente da quel processo. Un impegno difensivo come quello ti piglia dentro, ti consuma. Dopo che l'innocenza del mio assisitito fu definitivamente riconosciuta si ribaltarono un pò i ruoli. Io divenni difensore di parte civile nel successivo processo contro la Banda Savi. Difendevo alcune delle loro vittime. Contribuì alla loro condanna all'ergastolo. Ebbi l'onore di vedere confermate tutte quante le mie tesi. Quelle che avevo fatto sin dall'inizio davanti all'altra Corte d'Assise. Quelle per le quali lottai duramente contro l'imponente macchina da guerra investigativa sulla quale Spinosa e il suo Ufficio potevano contare. Sono passati quasi vent'anni d'allora e di quel Pm non avevo più sentito parlare. Forse la sconfitta bruciante lo aveva portato altrove, a fare il giudice.
Sia ben chiaro, non discuto la sua preparazione e la sua tenacia. Come avversario in un'aula difficilmente troverò un altro Giovanni Spinosa. Ma egli era innamorato della sua tesi, e la sua tesi aveva contribuito a portare in carcere degli innocenti. E ciò è terribile,sempre! Ne avevo perso le tracce,ho scritto. Fino all' altro giorno. E' ritornato con la pubblicazione di un libro "L'Italia della Uno Bianca" dove riattualizza le sue tesi che possono essere così riassunte: "Dietro i Savi c'era un connubbio non scoperto con altre entità rimaste non svelate. Si parla di criminalità organizzata, dimenticando che la logica stessa presuppone che la perdurata inviolabilità dei Savi risiedeva proprio nella loro impermeabilità all'esterno. Essi agivano contingentati,blindati. E ciò gli assicurò l'impunità per lungo tempo. In quel libro ho riletto le tesi sulle prove balistiche che osteggiai nella mia arringa in corte d'Assise a Bologna. Spinosa partiva dal concetto che ogni pedina doveva avere un posto indefettibile sullo scacchiere. Io gli replicavo che l'azione delittuosa, quella azione delittuosa, non poteva essere guardata in vitro perchè troppe erano le incognite; la fittissima nebbia aveva giocato un ruolo, l'eclatante drammaticità dell'evento aveva fortemente condizionato le testimonianze. Lui si servì anche di qualche pentito la cui inaffidabilità emergerà chiara nei successivi processi. Una massa di elementi eterogenei che si sublimavano sostanzialmente nella deposizione di una ragazza bolognese e di altri pentiti dei quali riusci,lottando, ad attenere anni dopo il rinvio a giudizio per calunnia. Ma quel processo rimase in un cassetto e il reato si prescrisse. Su una cosa concordo con Spinosa: quel falsi pentiti, quei testimoni menzogneri, avrebbero potuto dire se e chi li aveva imbeccati. Se e chi li aveva spinti a mentire,perchè mentirono su questo nessun dubbio è consentito! Ed invece non fu possibile processarli! Prescrizione del reato! Ancora oggi ritengo questa omissione una grave lesione del Dovere di Verità,una pagina buia della Giustizia in Italia!
Nel libro di Spinosa è clamorosamente assente una verità drammatica: innocenti passarono anni e anni di carcere preventivo prima che l'avvento dei fratelli Savi facesse Giustizia anche di quel terribile errore. E' un caso che non si parli mai, nel libro, di quelle vite spezzate? Non saprei. Ma è un fatto!
L'allora pubblico ministero,oggi giudice, ripercorre la dinamica dell'eccidio del Pilastro. Una dinamica che smontai 18 anni fa in aula e sulla quale non intendo tornare,non adesso, non qui. Persino la Cassazione ha consacrato con sentenza definitiva la verità,alternativa al suo errore. Sono solo artifici dialettici che nascondono una verità più "banale" : innocenti stavano per essere condannati all'ergastolo. E per questa mostruosità sventata in extremis nessuno ha pagato. Nessuno. E quando l'ingiustizia si afferma anche per un breve tratto della vita, la Verità si piega alla forza. E non c'è Diritto. C'è solo miseria!

(In alto, tratto da La Repubblica del 2 giugno 1995, aspettando la sentenza del primo processo per la Strage. A sinistra io, a destra Giovanni Spinosa)

3 commenti:

  1. Finalmente una voce libera che non si unisce al coro della superficialità su questi libro davvero vergognoso. 4 innocenti al processo del Pilastro. Altri 33 per la inesistente banda delle Coop.

    Grazie ancora avv. Maisano.

    Sandro Provvisionato

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  2. Grazie Sandro, da un Autore prestigioso come te il tuo giudizio mi lusinga! Un abbraccio!

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  3. Quando nella prefazione di Travaglio ho letto "...qualcuno dirà: ecco l'ennesimo libro complottista", avrei dovuto dar retta al campanello d'allarme che mi era iniziato a squillare in testa. Voglio comunque affrontarla come lettura utile a conoscere di una drammatica pagina di storia, così vicina. Terminato il libro credo che avrò domande da porLe, se posso. Silvia Astolfi

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