sabato 10 marzo 2012

La paramafiosità nel Concorso esterno associativo.

La paramafiosità nel Concorso esterno associativo.

“Maisano, ho pensato che potrebbe fare la sua tesi sull’ associazione per delinquere. Che ne dice?”

Qualche momento di smarrimento, giusto per domandarmi mentalmente se Giorgio “il Rosso” mi affidava quel compito alla luce dei miei natali calabri o anche dei miei studi in Sicilia prima dell’approdo nell’ateneo pavese dove Giorgio Marinucci, il Rosso appunto, aveva preso la cattedra di Pietro Nuvolone passato in quel di Milano. Insomma quella tesi era buona per un meridionale, dovette forse pensare il genio comunista del Diritto penale italiano. E così iniziai.

L’associazione per delinquere era allora una figura quasi alchemica nel diritto penale di parte speciale. Rinviava a qualche processo storico contro una mafia che ancora non era Cosa Nostra, lo sarebbe diventata con il 416 bis, ma anni dopo. La mafia dei pascoli, vecchio retaggio di una Sicilia normanna dei latifondi. La mafia delle scorrerie in armi, aggravante specifica della quale ancora oggi sono forse l’unica dottrina citata nei manuali. Anche perché l’unica dall’86 in avanti! Chi altri mai –se non io- avrebbe avuto voglia di trattarne?

Insomma, Giorgio il Rosso mi dice di “cercare,esaminare,proporre”. All’epoca la dottrina era solo Vincenzo Patalano e qualche scritto di Gaetano Insolera che poi diverrà mio amico a Bologna. Quindi ci misi molto del mio in quella tesi che sapeva di borbonico, barbaresco, antropologico.

Una cosa mi era chiara: un delitto necessariamente plurisoggettivo, organizzato anche rudimentalmente e con un programma delinquenziale generico per sfuggire alla insidiosa collateralità del concorso di persone nel reato. Era proprio quel pactum sceleris a tipizzarlo, blindarlo, connotarlo.

Un salto decennale e da quell’epoca di pionierismo ci si è catapultati nell’emergenza della lotta a Cosa Nostra.

La nuova figura dell’associazione di stampo mafioso (un “bis” posposto al 416 perché non si poteva fare diversamente) mostrò dei limiti nell’accertamento giudiziario di responsabilità collaterali alla struttura associativa vera e propria.

Insomma che fare verso chi non era intraneo alla “cosca mafiosa” eppure col suo agire ne agevolava le gesta? Quel “terzo livello” non “punciutu” ma collaterale alla mafia come poteva essere punito nonostante l’assenza dell’introneità al sodalizio? E come differenziarlo dalla contiguità dell’area favoreggiatrice (personale e reale) che già era recettiva del post-factum, piuttosto che dal concorso ex art. 110 nei singoli reati fine in itinere?? No, ci voleva qualcosa che punisse alla stregua del partecipe (se non del promotore o capo..) chi non partecipava per definizione,ma aiutava i partecipi,li rafforzava nell’itinerario delittuoso.

Ammetto di non aver mai compreso la plausibile fondatezza di un tale guazzabuglio nomofilachico che per quanto “scritto bene” (Sez.Un.33748/2005;Mannino) -perché Canzio è un gigante del bello scrivere! – è volpino nell’aggirare l’idem sentire associativo a favore di una figura ibrida che rimane consegnata all’argomentare più che al “comprendere” tipico della prescrizione penale.

A me che mi ero abbeverato agli insegnamenti di un purista,e per di più comunista, come Marinucci, tutto ciò ha sempre “saputo di posticcio”, di “para”, di strampalato absit iniuria.

O si è associati o non si è. E se non si è si sarà favoreggiatori nel post-delictum o concorrenti nei (in qualcuno dei..) delitti-fine. Altro non ci è dato teorizzare a meno di evidenti forzature del principio di tassatività e pre-conoscibilità dell’ipotesi delittuosa normata e da sanzionare; con buona pace della Costituzione Repubblicana.

(fam)

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